Il commercio equo e solidale, detto anche fair trade, è un sistema di distribuzione commerciale inventato per far arrivare nelle nostre case prodotti provenenti da Paesi lontani nel rispetto dei diritti dei lavoratori che li hanno realizzati. Vi è una attività di acquisto diretto presso piccoli produttori nel Terzo Mondo e vendita diretta ai consumatori di prodotti, prevalentemente agro-alimentari e artigianali, con lo scopo di eliminare gli svantaggi per produttori e consumatori che sono imputati all'attuale organizzazione commerciale internazionale. Le radici del commercio equo e solidale affondano infatti in una peculiare visione politica delle relazioni Nord/Sud e della cooperazione internazionale, che cerca di coniugare attività a favore dei processi di liberazione e autonomia presenti nel Sud del mondo (attività tipica della cooperazione internazionale tradizionale) con la critica radicale ai rapporti economici internazionali e col valorizzare la dimensione etica e politica del consumo: trade, not aid: commercio, non aiuti. Questo slogan, che ha accompagnato la nascita del commercio equo e solidale trentacinque anni fa (tra Olanda e Svizzera), risulta tuttora valido e identifica il senso complessivo che esso si propone: contro lo squilibrio Nord/Sud (ma oggi sarebbe meglio dire Centro/Periferia) e lo sfruttamento dei popoli, il fulcro dell'azione solidale deve concentrarsi non tanto nell'aumento di aiuti, quanto nella modifica degli iniqui meccanismi economici e commerciali che perpetuano le condizioni di subordine, dominazione e squilibrio di tanta parte del Sud del pianeta.
Il presupposto del commercio equo e solidale è che l'esportazione mondiale dei prodotti tipici dei paesi del Terzo Mondo (in particolare agro-alimentari, artigianali, minerari) costituisca, in linea di principio, una buona opportunità economica per i produttori. Tuttavia, l'attuale organizzazione del commercio internazionale fa sì che:
* vi sia un’iniqua differenza tra prezzo pagato al produttore e prezzo pagato dal consumatore finale; la differenza può arrivare fino a 10 o 20 volte;
* i produttori non abbiano sufficiente autonomia nella decisione del tipo e qualità di produzione;
* i consumatori finali non abbiano adeguate garanzie sulla qualità, la provenienza e le tecniche di lavorazione dei prodotti.
La causa di questi effetti negativi viene imputata principalmente alla struttura monopolistica o di cartello del mercato agro-alimentare mondiale, dove sono presenti poche compagnie multinazionali. Queste compagnie multinazionali operano principalmente come intermediari tra i produttori nei paesi di partenza e i distributori finali nei paesi d’arrivo. Esse godono di una posizione dominante in entrambe i mercati, in modo da mantenere prezzi bassi di acquisto e prezzi elevati di vendita. Inoltre, numerosi casi mostrano che le multinazionali agro-alimentari possono condizionare e manipolare le informazioni e le preferenze dei consumatori finali, e le decisioni produttive e le condizioni di lavoro dei produttori.
Le linee guida delle organizzazioni di commercio equo e solidale sono:
* alla fonte, evitare l'intermediazione di grossisti locali e/ o l'intervento di grosse compagnie d’esportazione;
* favorire la formazione di cooperative o altre forme di solidarietà sociale tra i piccoli produttori;
* favorire modalità di produzione artigianali per evitare che l'avvio di produzioni su scala industriale possa determinare diminuzioni di qualità o conflitti economici tra i produttori;
* garantire una determinazione trasparente del prezzo di vendita;
* promuovere l'uso di materie prime locali e il mantenimento in loco dell'intero ciclo produttivo.
La specificità del commercio equo e solidale consiste nel perseguire tale obiettivo ricercando un canale diretto e alternativo tra produttori del Sud e consumatori del Nord. L'utopia concreta di cui il commercio equo e solidale è portatore consiste nel fatto che in tal modo sia possibile liberare risorse (sottraendole al profitto di chi controlla i flussi/prezzi commerciali tradizionali) a favore delle comunità di produttori del Sud, valorizzando i fattori etici e non solo quelli economici come criteri di scelta da parte dei consumatori.E' interessante seguire l'itinerario che il commercio equo e solidale ha svolto in questi oltre tre decenni di esistenza. Le prime "botteghe del mondo" sono state aperte contro le regole commerciali dell'allora Comunità Economica Europea, che impedivano (causa leggi protezionistiche e dazi doganali) il libero accesso della maggioranza dei prodotti del Sud (materie prime, alimentari, manufatti) in Europa.
Le botteghe del mondo si sono costituite come terreno liberato da regole commerciali inique, come provocazione economica e politica, come atto concreto a favore dei popoli del Sud del mondo, discriminati da leggi economiche unicamente tese a favorire e proteggere il profitto economico del Nord. Le botteghe cercano di creare strutture economiche e canali commerciali che operino a sostegno delle comunità dei produttori del Sud e di una crescita del cosiddetto consumo critico e consapevole al Nord. Ma se questi sono gli intenti e il significato del commercio equo e solidale, come ciò avviene e si realizza? Quali sono le regole di cui è portatore? Pilastro delle organizzazioni del commercio equo e solidale è lo stabilire rapporti commerciali diretti coi produttori, da cui si acquistano le merci direttamente e senza intermediari. In tal modo è possibile definire assieme a loro un prezzo equo, a partire dalle loro richieste e che tenga conto (per risultare più alto e remunerativo) dei prezzi di mercato. Ciò permette anche un altro aspetto, economicamente determinante per i produttori: normalmente il 50% del valore della merce acquistata viene pagato prima dell'acquisto (prefinanziamento). Non meno importanti risultano altri fattori dei rapporti commerciali "equi e solidali": viene definito - soprattutto per le merci alimentari - un prezzo fisso indipendente dalle fluttuazioni dei mercati, oppure si stabilisce un prezzo minimo (è il caso del caffè) al di sotto del quale, anche se crollasse il prezzo internazionale della merce, il "prezzo equo" non può scendere. Oltre a ciò il rapporto coi produttori prevede una progettualità che può riguardare o direttamente le attività economiche (assistenza alla produzione/commercializzazione, microcredito per finanziare nuove attività) o la vita sociale-culturale dei produttori (rafforzamento degli organi collettivi, formazione, visite di scambio).
L'obiettivo di questa attività non riguarda però unicamente lo sviluppo economico; ciò che si intende promuovere non è direttamente valutabile in termini di fatturato, poiché riguarda prima di tutto: l'autonomia dei produttori (compreso il fatto che non divengano dipendenti dal sistema del fair trade); la diversificazione della produzione; il rispetto della cultura e delle tipologie produttive locali (si acquista solo ciò che viene già prodotto, intervenendo al massimo su design e repertorio dei prodotti). Oltre a ciò il commercio equo e solidale opera attraverso dei criteri (le regole, appunto) internazionalmente condivisi. Sinteticamente essi riguardano:
* la tipologia dei produttori: si entra in relazione, tranne eccezioni, con produttori riuniti in strutture collettive (consorzi, cooperative, associazioni) che garantiscano la partecipazione democratica, la gestione sociale delle risorse e dei profitti, un rapporto positivo con la comunità territoriale;
* il processo produttivo (impatto sociale): deve avvenire nel rispetto dei diritti dei lavoratori, del divieto del lavoro minorile, delle differenze di GENERE e dei portatori di disagio; (impatto ambientale): rispetto dell'ambiente, priorità all'utilizzo di materie prime locali ed alla produzione biologica;
* il prodotto finale: deve rispecchiare la cultura di provenienza (i prodotti alimentari elaborati devono avere almeno il 60% di provenienza "equa e solidale"); priorità ai prodotti sostitutivi di altri già in commercio.
Attività collegate al commercio equo e solidale sono il turismo responsabile, il movimento per il rifiuto dei prodotti ottenuti con lavoro minorile e per la richiesta dell’etichettatura sociale (ossia della certificazione che il prodotto è stato ottenuto rispettando condizioni di lavoro umane e civili), la finanza etica. E' importante infine capire che quanto fin qui detto non è più solo un ambito di testimonianza, appannaggio di un gruppo di volenterosi "bravi ragazzi/e". Oggi il commercio equo e solidale costituisce una struttura economica reale, consolidata e radicata nel territorio, che dimostra ogni giorno la sostenibilità di relazioni commerciali Nord/Sud e di modelli aziendali alternativi. Se in Europa esistono oltre tremila punti vendita, in Italia dopo oltre dieci anni si contano circa 250 botteghe del mondo. Il commercio equo e solidale in Italia fattura complessivamente alcune decine di miliardi, ha creato oltre un centinaio di posti di lavoro, mobilita migliaia di volontari, coinvolge centinaia di migliaia di consumatori. Una struttura come il Consorzio CTM Altromercato (la più vecchia e grande realtà di commercio equo in Italia, cui sono associate 90 botteghe) fattura quasi 17 miliardi, e commercializza circa 2.700 prodotti provenienti da 140 produttori di una quarantina di paesi di Asia, Africa, America Latina.
Non più solo cooperazione, volontariato, solidarietà: realtà come questa (e le altre: Commercio Alternativo, Equomercato, Equoland, RAM, Robe dell'Altro Mondo) costituiscono un avamposto di cultura sociale ed economica, che a pieno titolo partecipa e sostanzia la cosiddetta economia no profit. A dimostrazione di ciò sta anche la complessità e vitalità delle iniziative promosse direttamente dalla costellazione del fair trade italiano: oltre alla miriade di iniziative divulgative sui temi di politica internazionale e dell'economia sociale, esso interviene direttamente nella promozione della finanza etica (rapporto con le MAG - Mutua Auto Gestione, promozione della Banca Etica) e del turismo responsabile. E ciò dimostra ulteriormente l'esigenza e la necessità della novità portata nella cooperazione internazionale dal fair trade, là dove i criteri equi e solidali vengono importati e tradotti in altri importanti settori dell'attività economica e delle relazioni internazionali, come appunto la finanza e il turismo.