Il fine primario del consumo
critico è la trasparenza. Di solito, invece, si registra una specie di
«asimmetria informativa»: una delle parti (l’offerta) possiede informazioni che
l’altra parte (la domanda) non possiede e che potrebbero alterarne la
disponibilità a pagare. Il consumo critico è una modalità di consumo possibile e
non richiede sacrifici, ma coerenza e informazione (la segretezza è una tendenza
molto forte nel mondo della produzione). Il suo asse portante è la politica del
boicottaggio, che consiste nell’interruzione organizzata e temporanea
dell’acquisto di uno o più prodotti, allo scopo di indurre i produttori a
comportamenti diversi.
* L’eventuale multinazionale che controlla la casa di produzione che cosa
produce oltre al prodotto in questione?
* Sostiene forse governi repressivi?
* Gestisce i suoi interessi nel Terzo mondo con metodi speculativi?
* È coinvolta nell’industria delle armi o in scandali?
Il consumo è un'attività economica di utilizzo finale dei beni disponibili in
natura o trasformati dal processo produttivo sia agricolo che industriale. I
beni possono essere di natura materiale o immateriale (servizi), e possono
essere esauriti in un singolo atto di consumo (beni di consumo diretto, ad es.
alimentari) o possono essere utilizzati nel tempo (beni di consumo durevoli, ad
es. abitazioni). Il consumo aggregato svolto nel sistema economico è una delle
variabili che determinano la produzione nazionale, ma è considerato come il fine
di tutta l'attività economica.
Il consumo è considerato un
indicatore effettivo di benessere, partendo dai seguenti presupposti:
* il benessere individuale dipende, almeno in misura significativa, dalla
quantità di beni e servizi consumati;
* date le risorse economiche individuali (ad es. reddito, ricchezza), il consumo
riflette le preferenze individuali, che esulano dal giudizio dell'osservatore
esterno.
I limiti del consumo effettivo come indicatore del benessere sono numerosi:
* nei sistemi economici di mercato, il consumo sia individuale che aggregato, è misurato dai beni comprati attraverso il mercato, ma il benessere può dipendere anche da beni non di mercato (ad es. scambi familiari o di gruppo, doni, liberalità e altri servizi volontari; vedi economia informale).
* il consumo effettivo può non corrispondere adeguatamente alle preferenze individuali (anche in un sistema economico di mercato) in quanto: vi può essere domanda inespressa e insoddisfatta (ad es. l'impossibilità di ottenere istruzione non è rivelata da un aumento del consumo di cibo); le preferenze individuali possono adattarsi ai beni disponibili e non viceversa (vedi pubblicità).Allo scopo di ottenere un indicatore effettivo di benessere che riduca al minimo l'arbitrarietà culturale dell'osservatore o quella cieca del mercato, è stato elaborato il criterio dei bisogni primari (in inglese, basic needs). Questi studi sono stati avviati nei primi anni '70, e sono stati utilizzati in particolare dall' I.L.O.(Organizzazione Internazionale del Lavoro) e dalla World Bank (Banca Mondiale). L'idea di fondo è quella di un criterio minimale di benessere legato alla capacità di garantire la sopravvivenza dignitosa dell'individuo. Secondo il Rapporto dell'I.L.O. del 1976, i bisogni primari sono composti da due elementi. Anzitutto, un certo livello minimo di consumi privati familiari: certamente i consumi alimentari, per l'abitazione e l'abbigliamento, ma anche le spese per gli elettrodomestici e l'arredamento della casa. In secondo luogo, i servizi essenziali forniti alla (e dalla) comunità: l'acqua potabile, i servizi sanitari e didattici, i trasporti pubblici e le fognature.
Le problematiche connesse al modello di consumo della nostra società appaiono fortemente correlate. La popolazione, la povertà, i modelli di consumo e altri fattori che minacciano l’ambiente sono intrecciati fra loro, in modo che nessuno di essi può venire esaminato separatamente dagli altri. È possibile che la creazione di nuovi modelli di consumo possa liberare più risorse per i poveri e minimizzare il danno ambientale. Questo potenziale in parte esiste già, in parte va ancora sostenuto. I modelli di consumo, soprattutto quelli dei giovani, stanno attraversando profondi cambiamenti. I giovani sono i migliori consumatori del mercato e per molti settori della società è indispensabile comprendere le tendenze dei modelli di consumo giovanili per impostare nuovi progetti. Per raggiungere risultati sostanziali, è necessaria innanzitutto una nuova consapevolezza riguardo alla situazione del pianeta e alla necessità d’imprimere cambiamenti radicali ai modelli di consumo perseguiti finora. È auspicabile un ritorno al commercio cosiddetto «dal produttore al consumatore», per incoraggiare la produzione locale. Per adottare nuove direzioni nei modelli di consumo sono stati individuati alcuni obiettivi:
* Aumentare i livelli di
consumo dei poveri.
* Migliorare l’efficienza nell’uso delle risorse.
* Ripartire equamente nel mondo gli oneri necessari.
* Scoraggiare gli impatti sociali negativi.
* Promuovere i diritti del consumatore.
Di conseguenza, appare chiaro
che occorre puntare su coerenti politiche di consumo e sull’alleanza tra i
principali attori socio-politici. Il passaggio a modelli di consumo più adeguati
deve soddisfare le seguenti condizioni:
* Essere favorito da politiche di prezzo vantaggiose.
* Essere rafforzato da sistemi di regolamentazione efficaci.
* Essere supportato da mutamenti nelle norme e nei valori sociali.
Nelle società consumistiche si ha un’eccessiva disponibilità di ogni tipo di beni materiali in favore di alcune fasce sociali: rende facilmente gli uomini schiavi del godimento immediato, senza riferimento a effettivi bisogni umani che non siano la continua sostituzione delle cose che già si posseggono con altre ancora più perfette. Nel nuovo contesto economico-sociale globalizzato è diventato preponderante il peso della pubblicità. Questa si può definire come una forma di comunicazione di massa volta a indurre chi ne viene raggiunto a compiere azioni e a tenere comportamenti vantaggiosi per chi ha promosso tale comunicazione. La pubblicità è in forte aumento anche nel Terzo mondo. Qui, in molti Paesi, l’aumento della spesa pubblicitaria è significativamente più alto di quello del reddito (si stima che essa, includendo tutte le forme dirette o indirette, tocchi i 1.000 miliardi di dollari l’anno). Una delle strategie internazionali per aprire mercati nel Terzo mondo è indirizzare la pubblicità verso le donne: queste infatti rimangono i principali consumatori, specialmente in condizioni di analfabetismo diffuso. In Africa il mercato è assai ristretto, la stampa è poverissima e non può reggersi se non in minima parte sulle risorse della pubblicità. Negli Usa la legge sul tabacco, che sembrava inarrestabile, è stata a lungo bloccata dall’intervento dei gruppi di pressione del settore, che hanno investito 50 milioni di dollari in pubblicità. Le pressioni hanno fatto cambiare idea a deputati che fino ad allora sembravano inamovibili. Ciò dimostra come un piccolo gruppo combattivo e dotato di molti mezzi possa prevalere su una maggioranza, passiva e poco organizzata, pur preoccupata della salute propria e di quella degli altri. Molti consumi comportano un vero e proprio danno alla qualità della vita, dovuto al fatto che sono stati indotti da meccanismi pubblicitari ingannevoli che veicolano contenuti immaginari. Viceversa, spesso le imprese sono restie a pubblicizzare tutte le informazioni di cui il mercato ha bisogno. Da un’informazione non equilibrata derivano danni rilevanti alla struttura dei consumi: ad es. l’inutile ricorso al latte artificiale, spesso indotto da una cattiva informazione pubblicitaria. Le informazioni sui prodotti e sugli effetti del loro consumo sono ancora troppo affidate alla pubblicità stessa dei prodotti. Bisognerebbe invece tenere l’informazione il più possibile separata dalla pubblicità. È importante sviluppare una corretta educazione del consumatore e rafforzare e recuperare valori sociali e di identificazione più essenziali di quelli forniti dai messaggi pubblicitari.