L’espansione dell’agricoltura, necessaria a soddisfare la crescente domanda di cibo, ha però avuto un importante effetto negativo sulle foreste, sulle terre da pascolo e sulle zone paludose del pianeta. Nel mondo, il degrado dei suoli colpisce almeno 2 miliardi di ettari e circa due terzi delle terre coltivabili.
In numerosi Paesi, le risorse di acqua dolce stanno diminuendo a causa dell’agricoltura, che utilizza il 70 per cento delle fonti di acqua dolce sfruttate nel mondo. Nonostante ciò, soltanto il 30 per cento dell’acqua erogata viene realmente utilizzato per piante e coltivazioni — il resto viene sprecato. Il problema è già grave nel Nord Africa e nell’Asia occidentale ed, entro il 2025, fino a due terzi della popolazione mondiale potrebbe vivere in Paesi con moderate o gravi difficoltà nell’approvvigionamento idrico. Nei prossimi due decenni, si prevede che nei soli Paesi in via di sviluppo sarà necessario disporre del 17 per cento in più di acqua per le colture alimentari e che l’utilizzo complessivo di questa risorsa aumenterà del 40 per cento.
Attualmente, più di 11.000 specie vengono considerate a rischio e più di 800 si sono già estinte a causa della perdita del proprio habitat. Altre 5.000 specie sono potenzialmente a rischio a meno che non vengano prese delle misure appropriate per invertire la tendenza al declino della loro popolazione.
Nel mondo, circa un quarto delle zone di pesca sono soggette a uno sfruttamento eccessivo e metà di esse sono già utilizzate al massimo. Il pescato proveniente dall’Oceano Atlantico e da alcune zone dell’Oceano Pacifico, peraltro, ha raggiunto il proprio massimo potenziale già da diversi anni. Soltanto l’uno per cento degli oceani mondiali gode dello status di riserva protetta, o di zone di divieto.
Le foreste naturali vengono rapidamente convertite in terreni agricoli o destinate ad altre attività. Si stima che, negli anni ’90, il tasso globale di deforestazione abbia raggiunto i 14,6 milioni di ettari all’anno, con una perdita netta delle foreste mondiali nell’ultimo decennio pari al 4 per cento, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Durante tale periodo, i tassi netti di deforestazione erano più elevati in Africa e in Sud America. Ci sono delle aree in alcuni Paesi industrializzati ed in via di sviluppo dove si stanno realizzando progetti di riforestazione. La riforestazione si sta svolgendo ad un tasso stimato di 5,2 milioni di ettari all’anno, attribuito alla sostituzione naturale in foreste dei terreni agricoli abbandonati e alla piantumazione di alberi.
Circa metà del legname raccolto nel mondo viene utilizzato come legna da ardere ed il 90 per cento di esso viene utilizzato nei Paesi in via di sviluppo. La biomassa lignea complessiva delle foreste mondiali sta a sua volta diminuendo, riducendo di conseguenza la capacità dei boschi di mitigare il cambiamento climatico.
Circa il 27 per cento delle barriere coralline nel mondo sono andate perdute sia a causa dell’impatto delle attività umane sia per gli effetti del cambiamento climatico e si prevede che nei prossimi 30 anni un altro 32 per cento delle barriere coralline possa essere distrutto, a meno che non vengano prese misure correttive.
Le emissioni di sostanze che distruggono l’ozono stanno attualmente diminuendo lentamente dopo aver raggiunto il proprio massimo. Il consumo complessivo di clorofluorocarburi è significativamente diminuito, passando da circa 1,1 milioni di tonnellate nel 1986 a 156.000 tonnellate nel 1998.
Il consumo globale di carburanti fossili è aumentato del 10 per cento dal 1992 al 1999. L’uso pro capite rimane più elevato nei Paesi industrializzati, dove il consumo medio di petrolio nel 1999 era stato di 6,4 tonnellate, ossia pari a dieci volte i consumi registrati nelle regioni in via di sviluppo. Fra il 1965 e il 1998 le emissioni globali di anidride carbonica sono raddoppiate, con un incremento medio del 2,1 per cento annuo.
Il maggiore incremento nell’impiego di energia si è verificato nel settore trasporti, dove il 95 per cento dell’energia utilizzata deriva dal petrolio. Si stima che in questo settore il consumo di energia aumenti ad un tasso dell’1,5 per cento annuo nei Paesi industrializzati e del 3,6 per cento all’anno nei Paesi in via di sviluppo. Si prevede ancora che, fra il 1997 e il 2020, in questo settore le emissioni di biossido di carbonio aumenteranno del 75 per cento.
Nei Paesi in via di sviluppo più di due miliardi di persone fanno affidamento sulla tradizionale energia da biomassa, che comprende legna da ardere, letame animale e residui agricoli.