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Impronta Ecologica

L'impronta ecologica è uno strumento statistico studiato per valutare l'impatto ambientale dei consumi. Il concetto principale è che ogni bene o attività umana comporta dei costi ambientali - cioè prelievi di risorse naturali - quantificabili in termini di metri quadri o ettari di superficie. A seconda del tipo di consumo si farà riferimento ad un tipo di superficie piuttosto che ad un altro.

Confrontando l'impronta di un individuo (o regione o stato) con la quantità di terra disponibile pro-capite (cioè il rapporto tra superficie totale e popolazione mondiale) si può capire se il livello di consumi del campione è sostenibile o meno.

L'intera superficie delle terre emerse è composta all'incirca da:

* foreste ed aree boschive (33%)
* pascoli permanenti (23%)
* terra arabile (10%)
* terra costruita (2%)
* altri suoli: ghiacciai, rocce, deserti, eccetera (32%)

Per calcolare l'impronta relativa ad un set di consumi si mettono in relazione la quantità di ogni bene consumato (es. grano, riso, mais, cereali, carni, frutta, verdura, radici e tuberi, legumi, ecc..) con una costante di rendimento espressa in kg/ha (chilogrammi per ogni ettaro). Il risultato è una superficie.

Per calcolare l'impatto dei consumi di energia, questa viene convertita in tonnellate di carbonio equivalenti, ed il calcolo viene effettuato considerando la quantità di terra forestata necessaria per assorbire le tonnellate di carbonio suddette.

Il concetto di impronta ecologica è stato introdotto nel 1996 da Mathis Wackernagel e William Rees. A partire dal 1999 il WWF aggiorna periodicamente il calcolo dell'impronta ecologica nel suo Living Planet Report.

Nel 2003 Mathis Wackernagel e altri hanno fondato il Global Footprint Network, che si propone di perfezionare sempre più la misura dell'impronta ecologica e di conferirle un'importanza analoga a quella del prodotto interno lordo. Il Global Footprint Network collabora attualmente con 22 paesi -- tra cui Australia, Brasile, Canada, Cina, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Sud Africa, Svizzera -- e con agenzie governative, autorità locali, università, istituti di ricerca, società di consulenza, associazioni. In Italia collaborano con il Global Footprint Network il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi dell'Università di Siena, l'Istituto Ricerche Economico Sociali della Regione Piemonte, la società di ricerca e consulenza Ambiente Italia Srl, la Rete Lilliput.

In Italia l'impronta ecologica è stata e viene calcolata non solo per l'intera nazione, ma anche su scala regionale e locale. Il Cras (Centro ricerche applicate per lo sviluppo sostenibile) ha calcolato l'impronta per la Basilicata, la Calabria, la Campania, la Liguria, la Puglia], la Sardegna, la Sicilia e la Toscana; l'Istituto Ricerche Interdisciplinari sulla Sostenibilità , costituito dalle università di Torino e di Brescia, ha calcolato l'impronta ecologica per la province di Ancona, Ascoli Piceno, Cagliari, Forlì-Cesena, Pesaro Urbino, Siena e per il comune di Follonica.

 

Modalità di calcolo

Si considera l'utilizzo di sei principali categorie di territorio:

* terreno per l'energia: l'area di foresta necessaria per assorbire l'anidride carbonica prodotta dall'utilizzo di combustibili fossili;
* terreno agricolo: superficie arabile utilizzata per la produzione di alimenti ed altri beni (iuta, tabacco, ecc.);
* pascoli: superficie destinata all'allevamento;
* foreste: superficie destinata alla produzione di legname;
* superficie edificata: superficie dedicata agli insediamenti abitativi, agli impianti industriali, alle aree per servizi, alle vie di comunicazione;
* mare: superficie marina dedicata alla crescita di risorse per la pesca.

Le diverse superfici vengono ridotte ad una misura comune attribuendo a ciascuna un peso proporzionale alla sua produttività media mondiale; si individua così l'"area equivalente" necessaria per produrre la quantità di biomassa usata da una data popolazione (mondiale, nazionale, regionale, locale), misurata in "ettari globali" (gha).

L'impronta ecologica F viene calcolata con la formula:



dove Ei è l'impronta ecologica derivante dal consumo Ci del prodotto i-esimo e qi, espresso in ettari/chilogrammo, è l'inverso della produttività media per il prodotto i-esimo.

L'impronta ecologia pro capite f viene calcolata dividendo per la popolazione N residente nella regione considerata:

 

Risultati

Da alcuni studi effettuati su scala mondiale e su alcuni paesi emerge che l'impronta mondiale è leggermente maggiore della capacità bioproduttiva mondiale. Secondo Mathis Wackernagel, l'umanita' usava il 70% della capacità globale della biosfera nel 1961, ma è arrivata al 120% nel 1999.

Ciò significa che stiamo consumando più risorse rinnovabili di quanto potremmo, cioè che stiamo intaccando il capitale naturale e che nel futuro potremo disporre di meno materie prime per i nostri consumi.

Relativamente ad alcuni stati, i dati sono i seguenti. Per ogni paese è riportata l'impronta pro capite. Il dato va raffrontato con la biocapacità media mondiale che è di 1,9 ettari pro capite. (i dati sono del 1995)

* Argentina 3,0
* Australia 9,4
* Austria 9,6
* Cina 1,4
* Egitto 1,4
* Etiopia 0,7
* Francia 5,3
* India 1,0
* Italia 4,2
* Spagna 3,8
* Stati Uniti 9,6
* Svezia 6,1
* Mondo 2,2

Limiti

L'impronta ecologica ha parecchi limiti, conosciuti dagli stessi autori. In primo luogo riduce tutti i valori ad un sola unità di misura, la terra. Ciò va a distorcere la rappresentazione di problemi complessi e multidimensionali.

Relativamente all'energia, vi sono problemi di stima del rendimento; non si fa riferimento all'approvvigionamento da fonti non rinnovabili; non sono considerate altre emissioni oltre a quella di CO2; nel caso dell'energia nucleare le scorie radioattive non sono semplicemente conteggiate.

Poiché i consumi sono riferiti alle sole risorse rinnovabili, il problema della dipendenza da risorse non rinnovabili (minerali, petrolio) non viene misurato. Lo stesso si può dire per la produzione di rifiuti e di materiali non smaltibili. L'inquinamento non è considerato, ad eccezione delle emissioni di CO2.

Da ciò deriva che:

1. il reale danno ambientale è molto maggiore di quello che l'impronta ecologica mostra, perché non vengono considerati molti fattori degradanti esposti nella sezione "Limiti";
2. l'impronta ecologica può avere un valore educativo e di forte impatto comunicativo, ma rimane uno strumento non definitivo per le scelte dei governi: può essere sicuramente di aiuto ma, anche se si dovesse raggiungere la parità tra consumi e disponibilità questo non ci assicurerebbe la soluzione dei nostri problemi.