L’economia, diversamente da altre scienze, è legata sia alla teoria della razionalità sia all’etica. Essendo l’etica rilevante per l’economia è difficile tenere separati i problemi metodologici che hanno per argomento il carattere dell’economia dai problemi valutativi che riguardano le scelte individuali e le loro condizioni e conseguenze. In una visione ortodossa, l’economia è una scienza puramente positiva nettamente distinta dalla politica e dall’etica e l’economia normativa non diviene altro che l’applicazione dell’economia positiva all’esplorazione di problemi che sono d’immediata rilevanza valutativa. In realtà è difficile fare certe distinzioni l’economista non può essere estraneo alla morale e utilizzare l’economia come semplice tecnica.
Gli economisti, per poter fornire strumenti tecnici alla politica, devono collegare la teoria economica ai concetti morali che sono impiegati dai politici. Per far questo devono essere in grado di orientarsi in tematiche quali i bisogni, l’equità, le opportunità, la libertà e i diritti. L’economia positiva potrebbe essere separata dalle proposizioni valutative, ma gli economisti positivi sono influenzati dai propri valori morali. Nella teoria della razionalità le scelte di un soggetto sono determinate dalle sue preferenze, ma ciò non esclude che le preferenze siano orientate da principi morali. Il carattere dell’economia normativa è determinato sia dall’economia positiva che dalla razionalità, ma è errato identificare il benessere unicamente con la soddisfazione delle preferenze data la difficoltà di dare giudizi di valore secondo i quali si ritiene che persone che sono in situazioni simili godono dello stesso benessere.
Secondo le teorie anarco-capitalistiche i diritti naturali (cioè diritti che non dipendono dalle loro conseguenze) assicurano l’autonomia individuale. La giustizia consiste nel rispettare i diritti. Secondo Nozick un risultato è giusto solo se nasce dalla giusta acquisizione di ciò che si possedeva o dal trasferimento volontario di ciò che si possedeva giustamente. La giusta acquisizione è quella che non viola alcun diritto, e i trasferimenti sono volontari solo nel caso che nessuna limitazione delle scelte individuali nasca da violazione dei diritti: “La giustizia è una questione di titolo valido e dipende dalla storia reale, non dal quadro dei risultati che dalla storia risulta”. Solo il bisogno di rettificare ingiustizie passate giustifica la ridistribuzione. Le considerazioni riguardanti il benessere non giustificano mai alcuna interferenza con le libertà individuali, poiché la funzione dei diritti per Nozick non è di massimizzare il benessere, ma di assicurare la libertà e di permettere agli individui di perseguire i loro progetti personali.
Il concetto di benessere ha una posizione di
primo piano nel rapporto tra economia e etica. Si tratta di un concetto molto
complesso e controverso, sia sul piano teorico, sia su quello della sua
misurazione, sia su quello dei compiti delle autorità politiche. Esiste un
consenso pressoché generale nella cultura del mondo occidentale moderna
nell'idea che il fine ultimo, e pertanto il metro di giudizio, dell'economia,
della politica e dell’organizzazione sociale sia il benessere di ogni individuo
e della società. La Costituzione americana, stilata alla fine del XVIII secolo,
dichiara che i cittadini hanno "diritto alla felicità", presupponendo quindi che
lo Stato abbia il dovere di realizzare questo diritto o di fare in modo che i
cittadini possano realizzarlo. Va ricordato che questa idea è nata con la
rivoluzione filosofica (illuminismo) ed economico-politica del XVIII secolo, e
che essa rappresenta una svolta radicale rispetto al pensiero dominante nei
secoli precedenti. Secoli nei quali il compito richiesto allo Stato e al Sovrano
era stato quello di realizzare un ordine sociale giusto, secondo criteri fissati
da princìpi assoluti, in gran parte di natura teologica, totalmente indipendenti
dai valori degli individui. Al contrario, il criterio del benessere presuppone
la centralità dell'individuo e dei suoi valori soggettivi. Sul piano teorico, vi
sono quattro questioni fondamentali:
* che cosa determina il benessere individuale (problema del contenuto del
benessere);
* chi, e con quali mezzi, può o deve mettere ciascuna persona nelle condizioni
di ottenere ciò che le crea benessere;
* quali limiti possono essere imposti alla ricerca del benessere individuale;
* quale relazione esiste tra il benessere del singolo e quello della società.
La ricerca della soluzione di questi quesiti occupa il pensiero filosofico, economico e politico degli ultimi due secoli. La loro complessità nasce dal presupposto stesso della moderna teoria del benessere, vale a dire la centralità dei valori soggettivi dell'individuo. Se il giudice ultimo di ciò che è bene per sé è l'individuo stesso, come possono altri individui, e con quale diritto, decidere che cosa determina il benessere individuale? E come è possibile confrontare il benessere di individui diversi, che hanno preferenze e valori diversi? Per esempio, nel decennio 1970-80 alcuni studiosi, nel proposito di rispettare la dimensione strettamente soggettiva del benessere, hanno criticato radicalmente l'uso sistematico del contenuto del benessere occidentale come metro di valutazione e di azione per i paesi delle altre parti del mondo.
Il problema di quali siano i mezzi più idonei per la realizzazione del benessere è altrettanto complesso e controverso. La teoria liberista intende dimostrare che il sistema di mercato è il mezzo più idoneo, in quanto perfettamente coerente con il principio soggettivista: date le risorse economiche a disposizione di ciascun individuo, il mercato consente a ciascuno di realizzare il proprio benessere personale producendo, comprando e vendendo i beni preferiti [Vilfredo Pareto (Italia, 1848-1923), Léon Walras (Francia, 1834-1910), Kenneth J. Arrow (Stati Uniti, 1921)]. La forza teorica di questo risultato sta nel fatto che esso prescinde totalmente da giudizi di valore esterni all'individuo, e per questa via esclude la legittimità di interventi o di norme nella sfera del benessere da parte di autorità anteposte all'individuo come lo Stato o la Chiesa. Tuttavia sia in sede teorica che storica sono emersi numerosi fattori che possono impedire al mercato di conseguire adeguati livelli di benessere individuale e sociale, rendendo necessari interventi correttivi o diverse forme organizzative della vita economica. La stessa teoria liberista ammette che la distribuzione dei beni realizzata dal mercato può non essere conforme a giudizi di valore extra soggettivi comunque presenti nella società, come quello di equità (ad es. mantenere differenze tollerabili tra ricchi e poveri, garantire a tutti capacità e opportunità) oppure può mancare di fornire beni di natura collettiva come i beni pubblici (ad es. sicurezza) o i beni meritori (ad es. istruzione, salute, ambiente). Da questo punto di vista, la realizzazione del benessere richiede che il mercato sia affiancato o sostituito da altri strumenti, tra cui tornano in campo norme e interventi dei poteri pubblici [Amartya Sen (India, 1933), Joseph E. Stiglitz (Stati Uniti, 1943)].
Nessuno dei criteri di benessere disponibili è
pienamente soddisfacente o esente da critiche. Tuttavia va sottolineato che non
è pensabile di poter fare a meno di un criterio di valutazione dei sistemi
economici (vedi sistema economico) e delle politiche economiche. Sul piano
operativo e degli interventi a favore dello sviluppo sono stati elaborati
principalmente tre criteri di misura del benessere:
* i criteri quantitativi effettivi, che presuppongono che il benessere dipenda
essenzialmente dalla quantità di beni e servizi effettivamente utilizzati da un
individuo (ad es. il consumo e i bisogni primari);
* intendono misurare i mezzi che un individuo ha a disposizione per realizzare
il proprio benessere, senza entrare nel merito di come l'individuo impiega
questi mezzi (ad es. il reddito o la ricchezza ;
* i criteri qualitativi, i quali cercano di allargare la valutazione del
benessere ad aspetti non solo economico-quantitativi (ad es. capacità e
opportunità, e sviluppo umano);
* i criteri relazionali, i quali prendono in considerazione la posizione
dell'individuo nella società e non solo il suo benessere individuale assoluto
(ad es. equità).
L'equità è una situazione conforme a principi di giustizia, in particolare nel confronto tra individui in condizioni analoghe (equità orizzontale) o in condizioni diverse (equità verticale). Nell'uso corrente equità è usato come sinonimo di "giusto" (ad es. giudizio equo, compenso equo, ecc.), ma più precisamente l'equità indica un giudizio comparativo, vale a dire una situazione "giusta" nel confronto tra due individui (o gruppi, società, etc.). Se si confrontano due individui considerati analoghi per tutti gli aspetti rilevanti della situazione, si parla di equità orizzontale (ad es. è equo lo stesso compenso per le stesse prestazioni). Se si confrontano due individui considerati diversi nella situazione data, si parla di equità verticale (ad es. è equo un compenso maggiore per uno sforzo maggiore). L'equità nell'ambito della società è una questione estremamente complessa e al tempo stesso molto sentita, che tocca il campo economico e politico, ma che ha radici nei fondamenti filosofici, religiosi o ideologici di una data società. Il sistema politico in genere è chiamato ha realizzare i criteri di equità che emergono dalla società, ma questo compito non è sempre agevole. Nei sistemi politici democratici si è affermato il principio che è equo ciò che è conforme alle "regole del gioco", una volta che tali regole sono state fissate prima che una data situazione si presenti. Ma questo principio si limita a spostare il problema al campo delle regole, vale a dire alla questione se un determinato "gioco" sociale sia retto da regole eque e quindi accettabili prima di parteciparvi. Il problema dell'equità è particolarmente acuto nel campo economico, e riguarda soprattutto la distribuzione del reddito e/o della ricchezza , ossia la cosiddetta equità distributiva. I paesi nei quali si crea una forte disuguaglianza tra chi ha molto e chi ha poco reddito (ricchezza) sono giudicati iniqui. Allo stesso modo, sono giudicate inique le enormi disparità economiche nel mondo. Sono giudizi corretti, e come intervenire?
Il grado di equità di un sistema economico è una questione molto complessa e controversa, per due principali ragioni tra molte. Secondo principi generalmente accettati, il giudizio di equità deve essere riferito alle "regole del gioco" del sistema stesso. Il caso emblematico è quello del "gioco economico" che è oggi più diffuso al mondo, cioè il mercato. Il mercato, per sua natura, è fondato sul meccanismo della concorrenza, attraverso la quale viene stimolato l'interesse personale a dare il massimo di sé per ottenere un beneficio individuale. Se questa è la prima regola del gioco, come sostiene ad esempio il filosofo americano Robert Nozick (Stati Uniti, 1939-2003), allora bisogna accettare che i premi individuali alla fine del gioco possano essere anche molto diversi. Quindi il mercato non può garantire l'uguaglianza delle condizioni economiche, ma non può di per sé essere giudicato iniquo. Questa visione mette l'accento sulla equità del processo, cioè è iniqua solo la ricchezza accumulata violando le regole del gioco. Siccome è generalmente accettato che l'equità deve essere sia orizzontale (ad es. lo stesso compenso per lo stesso sforzo) sia verticale (ad es. maggior compenso per uno sforzo maggiore), le differenze economiche tra individui sono inique solo se non sono giustificate da differenze di merito. Questa visione, ricollegandosi al tema delle regole del gioco, sottolinea che il principio di equità richiede la uguaglianza delle condizioni di partenza, ma non quella delle condizioni di arrivo.
Il criterio dell'equità ha avuto e ha una influenza profonda sulla definizione dei compiti di politica economica dei governi. Il liberismo classico del XIX secolo ha prodotto l'idea dell’equità di processo, e quindi che il compito del governo sia solo quello di garantire che la competizione economica si svolga in maniera corretta (ad es. impedendo il formarsi di monopoli e concentrazioni di potere economico). Le correzioni successive di tipo riformista e socialdemocratico hanno introdotto ulteriori e più ampi criteri dell'intervento pubblico, come l' uguaglianza dei punti di partenza, affinché tutti siano nelle condizioni migliori per partecipare alla competizione economica; le politiche redistributive, cioè a favore di una maggiore uguaglianza della distribuzione del reddito e della ricchezza, quando i livelli inferiori risultano socialmente intollerabili o lesivi della dignità umana.