Con l'investimento si ha l'acquisto, installazione e utilizzo di nuovi mezzi di produzione materiali, che possono sostituire quelli esistenti o aggiungersi ad essi. L'investimento, che può essere effettuato da qualunque unità produttiva dell'economia, accresce (o modifica) il capitale fisico di cui è dotata l'unità produttiva e l'intera economia. Per questa ragione, l'investimento viene anche definito accumulazione di capitale. Comunemente, l'investimento è riferito ai mezzi di produzione acquistati da unità produttive, le quali si attendono un reddito (Il valore dei pagamenti che un individuo riceve come corrispettivo del possesso di beni economici e dal loro utilizzo economico per sé o in concorso con altri) derivante dalla vendita futura dei beni prodotti. L'investimento totale dell'economia può essere distinto tra privato, quando è effettuato da imprese private, e pubblico, quando è effettuato da imprese pubbliche o organi della pubblica amministrazione. Gli investimenti pubblici generalmente sono indirizzati in maggior misura ai mezzi di produzione di servizi (scuole, ospedali, ferrovie...) o a beni che non hanno una produttività diretta ma contribuiscono ad accrescere la produttività dell'economia privata (infrastrutture: strade, ponti, reti di telecomunicazione...). L'investimento, riferito ad un’unità produttiva, può essere
* estensivo, se ha lo scopo di aumentare la
dotazione di capitale fisico e la capacità produttiva, e di conseguenza comporta
un aumento dell'impiego di lavoro e della produzione totale;
* intensivo, se ha lo scopo di sostituire i mezzi di produzione esistenti con
altri più produttivi, e quindi può comportare una riduzione dell'impiego di
lavoro a parità di produzione totale.
Per l'economia nel suo complesso l'investimento è in stretta relazione con la determinazione dell'occupazione e della crescita economica. E' importante distinguere tra il momento dell'investimento e il momento in cui il capitale fisico aggiuntivo diviene produttivo. Nel primo momento, l'investimento costituisce una domanda di beni prodotti nell'economia e quindi, insieme alla domanda di tutti gli altri beni, concorre ad elevare la produzione corrente e quindi la possibilità di occupazione di lavoratori. Nel secondo momento, il capitale fisico aggiuntivo così realizzato farà aumentare anche la capacità di produzione e di occupazione futura dell'economia, innescando quindi un processo di crescita. Da questo punto di vista, anche l'investimento intensivo, sebbene possa ridurre l'occupazione nell'unità produttiva che lo realizza, può dare un contributo positivo all'occupazione complessiva. L'investimento richiede la disponibilità di mezzi di pagamento da parte dell'unità produttiva che intende effettuarlo. Tali mezzi di pagamento possono provenire da fonti interne (autofinanziamento) o da fonti esterne. La principale fonte interna sono i profitti che possono essere investiti anziché essere incassati dai proprietari. Le principali fonti esterne derivano dal risparmio di altri operatori, che può finanziare l'investimento mediante prestiti diretti o mediante intermediari finanziari. La formazione del risparmio, l'efficienza degli intermediari finanziari e dei mercati finanziari in generale, sono fattori estremamente importanti affinché vi sia un adeguato livello di investimento nell'economia. Questi fattori agiscono sia in termini di quantità delle risorse finanziarie disponibili per l'investimento, sia dal lato del prezzo, ossia del tasso d'interesse che gli investitori devono pagare ai risparmiatori e agli intermediari. Un'impresa privata effettua un investimento nella prospettiva di percepire un profitto futuro (vedi §2), ma tale profitto sarà tanto inferiore, e quindi minore l'incentivo ad investire, quanto maggiore è il tasso d'interesse dovuto ai finanziatori. La capacità d'investimento di un paese può essere accresciuta attraverso il ricorso ad operatori esteri. Se la formazione di risparmio interno è insufficiente o gli intermediari finanziari sono poco efficienti e molto costosi, un paese può cercare di attrarre investimenti diretti da parte di imprese estere o ottenere prestiti dall'estero per le imprese investitrici nazionali. Negli ultimi decenni, i piani di sviluppo hanno dato importanza crescente al superamento della strozzatura risparmio-investimento puntando in varie direzioni:
* l'accesso ad aiuti internazionali;
* l'aumento della quota d'investimenti pubblici dei governi locali, attraverso
la riduzione di altre spese improduttive;
* la riforma dei mercati finanziari locali;
* l'integrazione nel processo di globalizzazione finanziaria mondiale.
Il reale beneficio di queste politiche è materia assai controversa. Gli studiosi di orientamento liberale, e oggi in particolare i sostenitori della globalizzazione, evidenziano i vantaggi derivanti dalla possibilità di sostenere un elevato tasso d'investimento interno anche in presenza di condizioni iniziali sfavorevoli. Tuttavia, i critici osservano che nel lungo periodo gli investimenti esteri, diretti o indiretti, hanno raramente dato risultati apprezzabili per i paesi in via di sviluppo. I fattori negativi associati a queste politiche sono principalmente i seguenti.
Gli investimenti diretti, specialmente gli insediamenti di imprese multinazionali, possono avere uno scarso impatto sull'occupazione locale, in quanto tendono ad utilizzare manodopera specializzata della madrepatria, e uno scarso effetto sul reddito locale, in quanto gran parte dei profitti sono rimpatriati.
Essi possono creare varie forme di dipendenza del paese ospitante rispetto al paese investitore, come lo sviluppo distorto di produzioni non consone alla domanda locale, la soppressione di forme nascenti di piccole imprese locali e di manodopera specializzata locale, l'introduzione di stili di vita e condizioni di lavoro inadatti alla popolazione locale, la creazione d'interferenze politiche straniere per la tutela degli interessi dei loro insediamenti industriali.
Il finanziamento estero degli investimenti nazionali è esposto ai problemi di instabilità tipici dei mercati finanziari, i quali non garantiscono un'adeguata capacità di valutazione della redditività degli investimenti né la necessaria continuità di lungo periodo dei finanziamenti, così che espongono il paese a problemi di debito estero, con crisi valutarie e crisi finanziarie.
Ma anche gli aiuti finanziari negoziati tra governi e organismi internazionali non sono esenti da problemi, in quanto i governi riceventi molto spesso non sono in grado di effettuare investimenti produttivi adeguati, o sono inclini ad effettuare spese improduttive o in armamenti, mentre gli organismi erogatori non hanno conoscenze sufficienti della realtà locale, né particolare interesse ad effettuare costosi controlli sul buon utilizzo dei fondi assegnati.
Il reddito in genere deriva dal possesso e
dall'uso delle risorse economiche. A livello individuale, si distingue
principalmente tra
* redditi fondiari, ottenuti dalla proprietà di risorse ambientali, come terreni
dati in uso economico;
* redditi da capitale e impresa, ottenuti dalla proprietà e utilizzo di capitale
fisico e dall'esercizio di attività economiche in proprio; la proprietà del
capitale può essere anche sottoforma finanziaria (ad es. le azioni di una
società per azioni, i prestiti ad un'impresa, etc.) e in tal caso si parla di
redditi finanziari;
* redditi da lavoro, ottenuti come corrispettivo per prestazioni di lavoro
dipendente.
A livello del sistema economico, il valore totale dei redditi si chiama reddito nazionale. Una parte di esso proviene da fonti interne, una parte può provenire da fonti estere (come capitali investiti all'estero, lavoro svolto all'estero dagli emigranti, etc.; vedi bilancia dei pagamenti internazionali). I redditi individuali possono essere calcolati direttamente secondo le fonti indicate sopra, oppure si usa un indicatore medio, il reddito pro-capite, dato dal rapporto tra reddito nazionale e popolazione. Salvo alcuni aggiustamenti contabili, il reddito nazionale è un indicatore equivalente al prodotto interno lordo (PIL), cioè il valore totale della produzione di beni e servizi del sistema economico, e il reddito pro-capite è equivalente al PIL pro-capite. Il reddito pro-capite (o il PIL pro-capite), rapportato al livello dei prezzi dei beni, è un indicatore quantitativo e potenziale del benessere, detto anche potere d'acquisto. Infatti dà una misura di quanti beni e servizi sono a disposizione per ogni individuo, evitando di entrare nel merito di che cosa e quanto l'individuo effettivamente desideri e ottenga. Le organizzazioni economiche internazionali distinguono i paesi in tre gruppi: a basso, medio e alto reddito. Utilizzando l'indicatore del reddito pro-capite, il dato che emerge con maggior evidenza nell'economia mondiale sono le enormi differenze tra paesi ad alto e basso reddito. La differenza tra paesi ad alto reddito e altri dal 1960 al 1995 è leggermente diminuita, da circa 19,5 volte a 17,6. Invece la differenza tra paesi ad altro reddito e a basso reddito è più che raddoppiata, passando da 26,1 volte a 57.
L'indicatore del reddito pro-capite presenta
tuttavia alcuni limiti:
* il reddito pro-capite è una misura media, quindi può non rivelare il fatto che
per alcuni individui il potere d'acquisto può essere molto basso; quindi occorre
guardare anche alla distribuzione del reddito non solo nel mondo, ma anche
all'interno di ciascun paese. Ad esempio, in molti paesi a basso reddito la sua
distribuzione è più diseguale che nei paesi ad alto reddito; in alcuni paesi ad
alto reddito, il reddito pro-capite della fascia di popolazione più povera è
inferiore a quello di alcuni paesi a basso reddito;
* il reddito calcolabile dalle statistiche riporta solo quanto gli individui
ottengono attraverso il mercato, o quanto comunque può essere valutato in base
ad un prezzo di mercato; se il sistema di mercato è poco sviluppato e poco
esteso, ci possono essere altre forme di sussistenza o di scambi di prestazioni
che elevano il tenore di vita, ma non sono registrabili.
Il reddito è uno dei fattori socioeconomici che condizionano i progressi in vari ambiti. La crescita, là dove si è verificata, è andata spesso a favore delle classi più abbienti con un aumento della povertà di reddito. Chi ha un reddito inferiore alla metà della media nazionale (la cosiddetta «linea della povertà») non va per forza considerato povero, ma ha un tenore di vita che talora impone severe privazioni e limita sempre la partecipazione sociale. Negli anni ’80-’90 gran parte degli insegnanti dell’Africa e dell’America latina ha subito una riduzione, talora brusca e sensibile, del reddito. Un fenomeno analogo si è registrato nell’ultimo decennio nei Paesi ex comunisti. La riduzione del reddito reale si riflette direttamente nel coinvolgimento nelle attività produttive più precarie e dequalificate svolte da donne, adolescenti e bambini. Lo scarsissimo reddito dei poveri è di solito interamente utilizzato per comprare mezzi di sussistenza, tra cui il cibo. Le disparità nella razione giornaliera di calorie di cui può disporre un individuo evidenziano il rapporto tra il reddito disponibile e una dieta bilanciata e ricca.
Nonostante l'uso corrente tenda a trattare reddito e ricchezza come sinonimi, essi sono concetti distinti. La ricchezza misura la dotazione di risorse economiche di cui dispone un individuo (o un paese), mentre il reddito misura il flusso annuale di quanti beni economici un individuo (o un paese) è in grado di disporre. La distinzione è importante, perché non sempre tra ricchezza e reddito esiste una stretta corrispondenza. Ad esempio un laureato disoccupato ha un alto capitale umano ma ha un basso reddito; molti paesi a basso reddito hanno grandi risorse ambientali. Quindi la ricchezza è uno degli indicatori potenziali di benessere. Infatti, oltre alla quantità di risorse economiche, il problema cruciale è la capacità di utilizzarle o trasformarle in modo da creare beni utilizzabili e benessere. Secondo M. Weber, la posizione di classe è determinata dalla ricchezza di cui si dispone, anche se oggi per le classi superiori talora non si tratta più di ricchezza ma di benessere. I poveri si trovano a dover contendere alle classi medie e alte l’utilizzo di risorse insufficienti. Nel mondo si è venuta creando una classe di individui super-ricchi - 225 persone – che complessivamente possiede quanto 2,5 miliardi di poveri. Negli Usa (sulla carta) il fossato finanziario tra le classi medie e gli strati estremamente ricchi della società non è mai stato così profondo. Sono però incorsi nuovi fenomeni. La fruizione dei servizi pubblici essenziali (acqua, strutture igieniche, elettricità, etc.) nei Paesi più poveri favorisce spesso le classi più ricche. In diversi Paesi a crescita rapida (in Asia e in America) molti beni di consumo durevoli sono diventati appannaggio anche di una parte delle classi meno abbienti. Il livello di fruizione sociale della ricchezza collettiva si è riabbassato senza nuove tutele. Il ruolo ricoperto dagli individui nei processi di produzione è ridiventato un contrassegno di classe.