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Lavoro

Il lavoro è una manifestazione essenziale della vita umana, sia individuale che associata. Esso investe molteplici aspetti, antropologici, economici, sociali e culturali. Per questa ragione va tenuto ben presente che la relazione tra individuo e lavoro, e il posto del lavoro nella società, variano nel mondo secondo i diversi contesti culturali. Dal punto di vista economico, il lavoro è visto in primo luogo come una capacità intrinseca dell'uomo, che rientra nel più generale concetto di capitale umano, ossia l'insieme delle capacità umane che possono essere messe a frutto da ciascun individuo. Ma il lavoro è anche una necessità: le risorse naturali non sono, in genere, in forma direttamente utilizzabile per soddisfare i bisogni umani, ma devono essere trasformate. Quindi il lavoro, come manifestazione del capitale umano, è anche una delle risorse economiche fondamentali, vale a dire uno dei mezzi primari che l'uomo ha a disposizione per arrivare a soddisfare i propri bisogni. Da questo punto di vista sono rilevanti sia la quantità e che la qualità del lavoro (vedi condizioni di lavoro § 4). Il lavoro e i suoi problemi sono seguiti da tutte le maggiori organizzazioni economiche internazionali; tra queste l'I.L.O. (Organizzazione Internazionale del Lavoro) è quella più direttamente impegnata.

Organizzazione del lavoro

Ogni società, per consentire ai propri membri di soddisfare i propri bisogni deve adottare un qualche forma di organizzazione del lavoro. Tuttavia, essa è diversa in diverse società e culture. In senso lato, si tratta delle forme di lavoro (manuale, intellettuale, etc.), dei rapporti di lavoro (autonomo, dipendente, famigliare, servile, schiavitù), della remunerazione del lavoro (monetario, in natura).

L'organizzazione del lavoro tipica delle società con economia capitalista è imperniata sul mercato del lavoro. Con questa espressione ci si riferisce a una complessa forma di organizzazione del lavoro caratterizzata da:
* larga prevalenza del lavoro dipendente, organizzato nella fabbrica (o in altri luoghi di lavoro collettivo) da parte del proprietario dei mezzi di produzione (datore di lavoro);
* rapporti di lavoro regolati da libera contrattazione tra le parti (lavoratore e datore di lavoro), entro regole generali fissate dalla legge, che prevedono in particolare:
la determinazione della remunerazione del lavoro dipendente in forma monetaria (salario)
la libertà di rottura del rapporto, sia da parte del lavoratore (dimissioni) sia da parte del proprietario (licenziamento).

Nelle società di tipo capitalista moderno il lavoro è percepito sia come diritto che come dovere. L'individuo ha il dovere di partecipare al lavoro necessario per sé e per la società: il lavoro è il mezzo primario per ottenere il reddito necessario ad acquistare beni e servizi. Ma nella misura in cui il lavoro è una fonte di mezzi di sussistenza, un mezzo di realizzazione personale o di riconoscimento sociale, l'individuo ha anche un diritto al lavoro. Nelle economie socialiste, l'organizzazione del lavoro differisce da quella capitalista per alcuni fondamentali aspetti formali, ma è simile per altri aspetti sostanziali. Essendo la proprietà dei mezzi di produzione collettiva, formalmente il lavoratore non è dipendente da un proprietario ma gestisce direttamente l'unità produttiva (fabbrica, fattoria, etc.) mediante organismi rappresentativi. Tuttavia, la gran parte delle economie socialiste sono di tipo industriale e quindi il lavoratore è inserito in una forma di lavoro di fabbrica analogo a quello capitalista. Esistono forme miste di organizzazione del lavoro, come le cooperative e le organizzazioni 'non profit', che pur operando in contesto di tipo capitalista prevedono la proprietà e il controllo diretto dei lavoratori sui mezzi di produzione. L'organizzazione del lavoro nelle economie tradizionali e informali, che sono largamente diffuse nel Terzo Mondo, sfugge a classificazioni convenzionali basate sui criteri validi per le economie industrializzate. La quantità e qualità del lavoro viene determinata da norme tradizionali all'interno dei sistemi di relazioni famigliari o di gruppo. In gran parte si tratta di lavoro di scambio, cioè che non ha un corrispettivo contrattuale monetario.

 

Condizioni di lavoro

Le condizioni di lavoro riguardano soprattutto il salario, l’orario, la sicurezza sociale, la tutela della salute e le procedure di licenziamento. Il sistema delle regole e delle leggi relative al mercato del lavoro costituisce un elemento fondamentale che influenza, da un lato, le condizioni di vita e di lavoro, dall'altro lato il funzionamento del sistema economico. Nella legislazione del lavoro ha particolare importanza il diritto dei lavoratori a creare dei propri organismi rappresentativi: i sindacati. I sindacati hanno lo scopo principale di migliorare le condizioni di lavoro. Essi non sono presenti nella maggioranza delle unità produttive e nei subappalti in nero dell’ economia informale, dove non si ha alcun rispetto di un minimo di regole. Nel Terzo mondo i beni talora sono prodotti in condizioni di estremo degrado, ma i lavoratori sono deboli per reggere lunghi scioperi e ricattabili con la minaccia di spostare la produzione dove gli operai sono più accomodanti. Al contrario, i lavoratori dei paesi industrializzati lottano per non essere licenziati dalla competitività internazionale, accettando orari massimi, salari e sicurezza sociale minimi.

Occupazione

La misura principale della capacità dell'economia di creare lavoro è il tasso di occupazione, ossia il rapporto tra il numero degli occupati e la popolazione in un dato momento. Gli occupati vengono misurati attraverso indagini statistiche svolte presso famiglie e luoghi di lavoro, e sono coloro che dichiarano di avere un lavoro stabile e legale a tempo indeterminato o a termine. La misurazione del tasso di occupazione, e i relativi confronti internazionali, sono molto delicati per molte ragioni tecniche. In particolare:
* il tasso di occupazione ufficiale può essere molto diverso da quello effettivo a causa delle difficoltà nella raccolta di dati significativi e veritieri;
* il livello del tasso di occupazione può essere poco informativo riguardo al funzionamento del sistema economico in senso stretto, perché esso è il risultato di almeno tre ordini di fattori:
demografici, cioè il tasso di crescita annuale della popolazione, in particolare della popolazione attiva, ossia la parte della popolazione potenzialmente in grado di lavorare;
socio-culturali, cioè fattori quali l’atteggiamento verso il lavoro, la scolarizzazione, il comportamento della popolazione femminile, migrazioni: tutti questi determinano la forza lavoro, cioè la parte della popolazione attiva che decide di lavorare (più precisamente, che decide di presentarsi sul mercato del lavoro ufficiale);
economici, cioè tutti i fattori che determinano la capacità del sistema economico di creare posti lavoro.

Disoccupazione

Le organizzazioni economiche internazionali danno varie definizioni di disoccupazione, le quali cercano di identificare gli individui che:
* sono in condizioni di lavorare (fanno parte della forza lavoro);
* non hanno un lavoro stabile e ufficiale da più di un dato periodo, e ne stanno attivamente cercando uno.

La disoccupazione è l'indicatore più importante di inefficienza del sistema economico, e delle condizioni di disagio sociale o di povertà dipendenti dalla mancanza di lavoro. Si utilizza in genere il dato del tasso di disoccupazione, pari al rapporto tra numero di disoccupati e forza di lavoro, con lo scopo d'identificare esattamente quanta parte della popolazione disposta al lavoro non è in grado di trovarlo. La misura statistica dei disoccupati è molto complessa tecnicamente e, spesso, non del tutto affidabile. Sia nei paesi industrializzati che, in misura maggiore, nel resto del mondo, esiste un'ampia "zona grigia" tra lavoro e non-lavoro nella quale risulta molto difficile identificare la disoccupazione in senso stretto. La disoccupazione non è esclusiva dei paesi più poveri e non è un fenomeno omogeneo. Considerando diverse fonti si può dire che alla fine degli anni '90 vi erano circa 400 milioni di disoccupati nel mondo, pari a circa il 15% della forza lavoro. Di questi, circa 32 milioni erano nei paesi industrializzati (8% della propria forza lavoro) e circa 370 milioni nel resto del mondo (16% della propria forza lavoro). Tipicamente la disoccupazione, anche all'interno di ciascun paese, colpisce in modo particolare alcune fasce della popolazione, a bassa istruzione e di sesso femminile. Al di là del dato quantitativo, gli effetti della disoccupazione possono essere molto diversi in relazione a: le condizioni personali (numero di persone a carico, condizioni psico-fisiche, età, istruzione, sesso); le condizioni sociali (relazioni famigliari, legami di gruppo, atteggiamento sociale verso la disoccupazione); norme legislative (misure assistenziali, sussidi, misure di aiuto nella ricerca del lavoro); durata.

Sottoccupazione

In molti paesi, anche industrializzati, il problema del lavoro non si manifesta precisamente attraverso le statistiche ufficiali. Il lavoro passa in misura più o meno grande al di fuori del mercato del lavoro ufficiale. Questa "zona grigia" viene solitamente definita sottoccupazione, e presenta le seguenti caratteristiche:
* relazioni di lavoro non formalizzate o illegali, assenza di diritti e protezioni sindacali;
* prestazioni di lavoro di scambio all'interno della famiglia o del gruppo di appartenenza;
* durata del rapporto del lavoro incerta, non definita, generalmente breve;
* mutamento frequente del posto di lavoro, con alternanza di lavoro e disoccupazione;
* luoghi di lavoro disagevoli o insicuri.

Nelle economie industrializzate, la sottoccupazione rappresenta un problema di rilievo da risolvere. Ma in economie con un limitato settore industriale e forti carenze istituzionali, la sottoccupazione è un fenomeno dai contorni più estesi e complessi. Recentemente, alcuni studiosi, come Serge Latouche (Francia) hanno sottolineato come in molti casi la "zona grigia" dell’economia informale rappresenta un sotto-sistema economico-sociale che in qualche misura offre possibilità di vita e di relazioni sociali alle comunità locali.

 

Lavoro femminile

Quasi ovunque nel mondo, le donne sono sempre più numerose sul mercato del lavoro. Questo è un fattore di emancipazione, anche se il loro potere contrattuale è limitato dai compiti loro affidati dalla società: in ogni ambiente di lavoro più si sale di grado meno donne s’incontrano e anche il guadagno è inferiore. Nel Terzo mondo sono le protagoniste dei lavori produttivi di sussistenza, oltre a svolgere larga parte del lavoro di comunità. Poiché non è remunerato, il lavoro casalingo è trascurato nel valutare i contributi alla prosperità familiare. Nelle statistiche del lavoro, il loro ruolo è sottovalutato. Il lavoro femminile e l’istruzione sono le cause maggiori che riducono la mortalità infantile e la fertilità.

Lavoro minorile

E' il lavoro effettuato regolarmente dai bambini con meno di 15 anni. Oltre 250 milioni di essi nel Terzo mondo lavorano, talora a tempo pieno. Il fenomeno, presente anche nei Paesi industrializzati, è originato dalla povertà delle famiglie e dalla violazione dei diritti dei genitori in ambito lavorativo (salari da fame, assenza di libertà sindacale, disoccupazione, ecc.) e nega ai bambini l’accesso all’istruzione. A sua volta, favorendo gli abbandoni, un cattivo sistema scolastico favorisce il lavoro minorile. È più diffuso nell’industria e nelle piantagioni, in famiglia, nei servizi domestici, in strada (vedi ragazzi di strada), nello sfruttamento sessuale (vedi prostituzione) e come lavoro forzato.

Lavoro forzato

Quest’ultimo è un lavoro in condizioni simili alla schiavitù, che non rispetta il diritto di modificare o di rompere il contratto e che toglie la libertà di andarsene. In Pakistan, malgrado l’approvazione, nel 1992, della legge sull’abolizione del sistema del lavoro forzato, che prevede per questo tipo di reato tre anni di prigione e una multa, la maggior parte dei grandi signori continua a possedere prigioni private e campi di lavoro forzato. In Brasile i carbonai sono spesso ridotti in condizioni di semischiavitù. Nelle fattorie ci sono persone tenute incatenate per evitare fughe. Oggi anche la Birmania, l’Iran, il Marocco, la Nigeria, il Sudan e lo Swaziland violano le norme internazionali sul lavoro forzato.