Il mercato è una forma di organizzazione delle
relazioni economiche che prevede la proprietà privata dei beni economici e la
libertà di contrattazione tra soggetti privati per la compravendita dei loro
beni economici. Il mercato è una delle forme organizzative dei sistemi economi,
vale a dire una delle forme con cui la società determina a chi attribuire l'uso
delle risorse economiche, come organizzare la produzione dei beni e come
distribuire i beni prodotti. In senso lato, il termine mercato rievoca il fatto
che:
* qualunque bene economico può essere comprato e venduto;
* ogni bene economico ha un prezzo che risulta dalla libera contrattazione tra
chi lo domanda e chi lo offre.
Il mercato è un attributo essenziale del sistema
capitalista. Infatti in questo tipo di sistema le risorse produttive sono
prevalentemente di proprietà privata, e possono essere comprate e vendute, la
produzione è organizzata da chi acquista le risorse pagando una remunerazione ai
proprietari, e infine la distribuzione dei prodotti è attuata attraverso la
contrattazione tra compratori e venditori. Lo scopo fondamentale di un mercato è
quello di determinare il prezzo a cui un bene economico può essere comprato e
venduto. Tendenzialmente, il prezzo riflette l'andamento della domanda rispetto
all'offerta: esso aumenta se la domanda è superiore all'offerta e viceversa
(legge della domanda e dell'offerta). Questo fenomeno si realizza in quanto un
eccesso della domanda rispetto all'offerta rende conveniente al venditore
chiedere un prezzo più alto ai compratori; viceversa, un eccesso dell'offerta
rispetto alla domanda dà la possibilità ai compratori di chiedere un prezzo più
basso ai venditori. La legge della domanda e dell'offerta comporta delle
conseguenze molto importanti per l'efficienza dei mercati sotto due profili,
quello della soddisfazione dei bisogni individuali e quello della regolazione
dell'attività economica. Sotto il profilo della soddisfazione dei bisogni, il
mercato fa sì che:
* tendenzialmente, gli acquisti e le vendite si realizzano al prezzo in cui le
due quantità sono uguali, detto prezzo di equilibrio;
* il prezzo di equilibrio è il prezzo che tutti i compratori sono disposti a
pagare e che tutti i venditori ritengono profittevole, di conseguenza;
* il mercato è un modo di organizzare le relazioni economiche, che consente a
ciascun individuo di decidere se acquistare o vendere un bene secondo il proprio
interesse personale
* consente di determinare i prezzi dei beni in base alla valutazione economica
di chi compra e di chi vende il bene, senza alcun ricorso ad autorità estranee
agli individui stessi.
Sotto il profilo della regolazione dell'attività economica, i problemi fondamentali sono: quanto e che cosa deve produrre il sistema economico, e qual è la giusta remunerazione per chi partecipa alla produzione? La legge della domanda e dell'offerta, facendo aumentare i prezzi dei beni scarsi e diminuire i prezzi dei beni abbondanti crea dei "segnali", delle informazioni, che regolano la produzione dei beni (quando il prezzo sale si produce di più e quando il prezzo scende si produce di meno); quindi quanto e che cosa produrre viene dettato proprio da coloro che domandano i beni in base ai propri bisogni. La legge della domanda e dell'offerta, estesa anche alle risorse produttive, comporta che esse vengono impiegate là dove è maggiore la domanda di beni (se un bene è scarso, il suo prezzo aumenta, quindi può aumentare anche la remunerazione dei proprietari delle risorse impiegate per produrlo, e quindi vi sarà maggiore offerta di risorse in quel settore in modo da aumentarne la produzione); la remunerazione percepita dai proprietari delle risorse è tanto maggiore quanto maggiore è la loro produttività, e quanto più intensa è la domanda dei beni che necessitano di quelle risorse; vale a dire che la remunerazione per chi partecipa alla produzione è dettata, in ultima istanza, dal fabbisogno sociale della risorsa in suo possesso. Queste caratteristiche di efficienza economica dei mercati forniscono uno degli argomenti principali a favore del liberismo economico, ossia la dottrina economica che vede nel sistema capitalista e nelle relazioni di mercato il mezzo migliore per soddisfare i bisogni umani e realizzare il benessere di ciascuno. Tuttavia la legge della domanda e dell'offerta e l'efficienza del mercato non sempre si realizzano, a causa di fattori che possono spingere compratori e venditori ad un comportamento diverso da quello previsto. La capacità dell'organizzazione economica di mercato di ottenere un uso delle risorse che dà la maggior soddisfazione dei bisogni individuali e regola in maniera efficiente le attività economiche è stata sia l'oggetto di studio teorico, sia lo scopo primario assegnato ai governi da parte del pensiero liberista. Tuttavia, tanto la ricerca teorica quanto l'esperienza storica hanno posto in evidenza un gran numero di fattori che possono limitare di molto le virtù del mercato, e al contrario produrre risultati economicamente e socialmente negativi.
I mercati si formano e si affermano sotto forme
diverse. Vi sono forme di mercato dove prevalgono condizioni che favoriscono
l'operare della legge della domanda e dell'offerta in maniera efficiente, e ciò
avviene quanto maggiore è la concorrenza tra compratori e venditori. Ma la
maggior parte dei mercati non presenta questa condizione ideale. Più comunemente
si creano condizioni che possono favorire il compratore rispetto al venditore o
viceversa (potere di mercato). Il potere di mercato consente all'uno o all'altro
di determinare un prezzo che corrisponde al massimo beneficio per sé, ma non per
la controparte. Un'economia basata sui mercati funziona tanto meglio quanto più
ogni possibile "bene", materiale o immateriale, in grado di soddisfare un
bisogno di qualcuno è trattabile in un mercato, cioè ha un prezzo formato in
condizioni di concorrenza. Ma evidentemente vi sono limiti di natura tecnica, ma
soprattutto culturale o politica, che impediscono l'esistenza, o il corretto
funzionamento, di un mercato per ogni possibile cosa buona o utile. Sebbene
l'insieme delle attività umane che passano attraverso i mercati si è enormemente
esteso, l'elenco di ciò che non può essere trattato dal mercato, o che il
mercato valuta in modo inefficiente, è ancora lungo: ambiente, salute,
istruzione), sicurezza, informazione, e in genere i cosiddetti beni pubblici
(quando l'utilità che ne trae un individuo non esclude tutti gli altri, come un
bagno nel mare, l'arresto di un malvivente o una trasmissione televisiva) e i
beni per le generazioni future. In tema di limiti del mercato, spicca il
problema del lavoro. Tutti i grandi studiosi testimoni dell'avvento del
capitalismo osservarono che la trasformazione del lavoro in una risorsa
personale libera e, nello stesso tempo, in merce con un prezzo introduceva una
svolta epocale. Da allora, infatti, si parla di mercato del lavoro (vedi
organizzazione del lavoro). E da allora rimangono estremamente controverse
alcune questioni essenziali, quali
* in che misura il lavoro umano sia una risorsa che può essere sottoposta alle
leggi di mercato, e in particolare;
* in che misura il mercato sia in grado di fissare il "giusto prezzo" del
lavoro;
* in che misura il mercato sia in grado di garantire il pieno utilizzo del
lavoro disponibile.
Tecnicamente si ha concorrenza quando esistono
numerosi compratori e venditori di uno stesso bene e nessuno ha il potere di
fissare da solo il prezzo del bene. In concorrenza "perfetta" vale pienamente la
legge della domanda e dell'offerta per la determinazione del prezzo di mercato.
L'operare della concorrenza si fonda essenzialmente su due presupposti:
* la capacità di calcolo economico degli operatori, ossia la capacità di
decidere se comprare o vendere un bene ad un dato prezzo in relazione al
beneficio che ne possono trarre
* il movente dell'interesse personale (ad es. nel caso di un bene di consumo,
beneficio per il compratore, profitto per il venditore).
Di conseguenza, se vi sono molti venditori, ciascun compratore può rivolgersi al venditore che pratica il prezzo più basso, e se vi sono molti compratori, ciascun venditore può rivolgersi al compratore che è disposto a pagare di più. La concorrenza, sotto determinate condizioni, comporta dei benefici collettivi, e nei paesi occidentali il termine è diventato sinonimo di uno stile di vita che spinge ciascuno a dare il meglio di sé per il proprio interesse e, inconsapevolmente, a beneficio di tutti. Ma come sottolineò Joseph A. Schumpeter (Austria, 1883-1950), lo stesso movente dell'interesse personale che è necessario alla concorrenza spinge a ricercare o a creare condizioni di potere di mercato, o di limitazione della concorrenza, che consentano di sfuggire ai suoi morsi.
Si ha monopolio quando per un dato bene esiste un
unico venditore a fronte di molti compratori. Il monopolio è quindi la forma
estrema di violazione della concorrenza. Vanno ricordate altre forme di
limitazione della concorrenza più attenuate:
* oligopolio, quando vi sono pochi venditori a fronte di molti compratori, e i
primi sono in grado di prendere accordi per attenuare o eliminare la
competizione tra loro ai danni dei compratori;
* concorrenza monopolistica, quando un venditore è in grado di esercitare potere
di mercato sui propri compratori, ma questi sono in grado di sostituirlo con un
altro venditore sostenendo dei costi (si tratta di una situazione molto
importante perché è tipica della gran parte dei beni di consumo).
Il monopolio è un caso emblematico in cui il mercato non può funzionare in maniera efficiente. Il monopolista ottiene il massimo profitto personale fissando un prezzo più alto di quello concorrenziale, tenendo conto del fatto che i compratori non possono sostituirlo con un altro venditore. Effetti collaterali possono essere: scarsa qualità dei prodotti; riduzione dei salari e peggioramento delle condizioni di lavoro; condizionamento della decisioni politiche locali o nazionali. Quindi si crea un conflitto tra l'interesse privato del monopolista e l'interesse pubblico nell'efficienza del mercato, il che giustifica la presenza di autorità di tutela della concorrenza in tutti i maggiori paesi (inglese, antitrust). La tendenza nelle economie di mercato alla formazione di monopòli, o ad altre forme di violazione della concorrenza, si è manifestata già verso la fine dal XIX secolo in Europa e negli Stati Uniti. Tra il 1880 e il 1930 la concentrazione del potere economico sembrò inarrestabile. Essa ha dimostrato di avere effetti particolarmente gravi sul mercato del lavoro e nel processo di industrializzazione dei paesi extra-europei.
Un gruppo di compratori o venditori in un mercato può prendere accordi per limitare la concorrenza fissando condizioni comuni per la determinazione del prezzo e/o delle quantità comprate o vendute. Gli accordi di cartello tra venditori tendono a mantenere un prezzo elevato e ad escludere l'ingresso di nuovi concorrenti. Quelli tra compratori, meno frequenti, tendono a ottenere condizioni di prezzo più vantaggiose in presenza di un venditore monopolista o di venditori cartellizzati a loro volta. Gli accordi di cartello sono esplicitamente vietati nei paesi con norme di tutela della concorrenza. Tuttavia spesso questi accordi sono taciti e sono di difficile individuazione. Una forma di accordo di cartello assai particolare, che è invece ammessa dalla legge nella maggior parte dei paesi democratici, è il sindacato dei lavoratori. Ci possono però essere accordi di cartello internazionali, in assenza di autorità di controllo sovranazionali. Questi accordi sono talvolta espliciti e piuttosto frequenti nei mercati delle materie prime. Attualmente il cartello più famoso, operante da circa trent'anni quello dei produttori di petrolio uniti nell'O.P.E.C (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio).
L'insieme dei mercati dove hanno luogo le
operazioni di acquisto e vendita dei titoli finanziari. I mercati finanziari,
gli intermediari finanziari e le relative istituzioni pubbliche di controllo
formano il sistema finanziario nazionale e internazionale. I mercati finanziari
e il sistema finanziario sono un elemento fondamentale per il funzionamento dei
sistemi economici di mercato. Inoltre numerose ricerche hanno mostrato come
l'assenza o l'arretratezza del sistema finanziario sia una delle cause dei
problemi dei paesi poveri, come un basso livello di risparmio e investimento e
un’insufficiente crescita economica. Infatti i mercati finanziari svolgono una
pluralità di funzioni complesse, che influiscono sulla vita economica sia degli
individui, sia dell'intero sistema economico:
* per il primo tipo di effetti, i mercati finanziari offrono la possibilità di
impiegare il risparmio in maniera redditizia accantonando fondi per le necessità
future;
* per il secondo tipo di effetti, i mercati finanziari consentono l'incontro tra
risparmio e investimento, vale a dire tra chi ha fondi da accantonare e desidera
ottenere un adeguato tasso d'interesse (i risparmiatori) e chi invece necessita
di fondi per effettuare acquisti di capitale fisico o altri mezzi di produzione
(le imprese).
I soggetti ammessi ad operare nei mercati
finanziari non sono direttamente coloro che forniscono e ricevono fondi, ma
soggetti specializzati ed autorizzati in base a norme di legge detti
intermediari finanziari. Questi soggetti hanno il dovere di agire per conto di
chi offre o domanda i fondi, ricavando un legittimo profitto per l'attività
d'intermediazione. Attualmente gli intermediari finanziari più importanti sono i
fondi pensione, i fondi d'investimento e le banche . I primi hanno il compito di
gestire il risparmio privato allo scopo d'impiegarlo nel modo più remunerativo,
tenendo conto dei rischi (vedi risparmio), e di creare un capitale a scopo
previdenziale. Oggi questi intermediari nei paesi più ricchi gestiscono
patrimoni enormi, e le loro operazioni hanno effetti di primaria importanza sui
mercati finanziari. Le banche sono gli intermediari finanziari più antichi
(esistevano nell'antica Grecia e a Roma) e hanno un ruolo di grande rilievo sia
per la gestione del risparmio, sia per il finanziamento degli investimenti e
dell'attività produttiva. Nei mercati finanziari vengono trattati e scambiati
titoli finanziari, ossia contratti che impegnano una parte (chi riceve i fondi)
a restituire all'altra parte (chi impiega i fondi) la somma ricevuta più una
quota aggiuntiva, generalmente detta interesse. Il rapporto tra l'interesse e la
somma data si dice tasso d'interesse. I titoli finanziari e il modo di pagare
gli interessi sono di varia natura. E' importante distinguere tra:
* azioni, titoli emessi da imprese (società per azioni) che danno diritto a chi
le acquista ad una partecipazione ai profitti e alla conduzione economica
dell'impresa (tramite gli organi societari, come l'assemblea degli azionisti e
il consiglio di amministrazione);
* obbligazioni, titoli che danno diritto a chi li acquista a ricevere un dato
interesse annuale e la restituzione della somma versata entro una data
prestabilita (non vi è pero diritto alla partecipazione agli utili né alla
conduzione economica dell'impresa); una parte importante delle obbligazioni, in
tutto il mondo, è costituita dai titoli pubblici, vale a dire le obbligazioni
emesse dallo Stato (in genere tramite il Ministero del Tesoro) per finanziare le
spese statali che eccedono gli incassi dati dal prelievo fiscale;
* debiti bancari (mutui, fidi), contratti come le obbligazioni, ma che l'impresa
stipula con una banca anziché con un qualunque soggetto anonimo. La banca che
finanzia un'impresa si dice che le offre credito.
Le compravendite di azioni e obbligazioni hanno luogo in mercati anonimi e centralizzati, cioè dove le operazioni avvengono tutte simultaneamente in un unico luogo: la borsa valori. Le operazioni bancarie invece sono realizzate tramite relazioni dirette tra ogni singola banca e ciascun suo debitore, che può essere un soggetto privato o pubblico. Le banche sono parte integrante del sistema finanziario; esse comportano relazioni finanziarie molto diverse da quelle borsistiche, e per molti aspetti sono alternative ad esse. Un'operazione finanziaria può essere tra soggetti entrambi residenti nello stesso paese, oppure tra soggetti residenti in paesi diversi. Nel secondo caso l'operazione assume una valenza internazionale, come avviene se un cittadino italiano compera delle azioni della General Motors americana o un titolo di Stato tedesco, oppure se la FIAT di Torino ottiene un credito da una banca brasiliana per finanziare la propria produzione in Brasile. Le operazioni finanziarie internazionali rivestono grande importanza per molteplici ragioni, soprattutto per i paesi che hanno bisogno di finanziamenti per il proprio sviluppo. I governi possono decidere di ammettere operazioni finanziarie internazionali oppure non ammetterle oppure trattarle con leggi o trattamenti fiscali speciali. Nel primo caso si dice che i mercati finanziari sono aperti, o consentono la libera circolazione dei capitali; nel secondo caso si dice che i mercati finanziari sono chiusi. La gran parte dei paesi ha oggi mercati finanziari aperti, ma molto frequenti e interessanti sono i casi di tassazione speciale per le operazioni internazionali. Vi sono governi che, in certi momenti, impongono tasse più alte o altri vincoli volendo scoraggiare queste operazioni: un esempio molto noto e discusso è la cosiddetta Tobin Tax, dal nome dell'economista americano James Tobin (Stati Uniti, 1918), il quale ha proposto d'imporre un prelievo fiscale per ogni dollaro di operazioni finanziarie allo scopo di scoraggiare la speculazione e le crisi finanziarie. All'opposto vi sono governi che impongono tasse più basse (o nessuna tassa) sulle operazioni finanziarie internazionali volendo attrarne il più possibile: si tratta dei cosiddetti paradisi fiscali come Lussemburgo, Svizzera e Principato di Monaco in Europa o Santo Domingo e le Isole Cayman nei Caraibi. La parte delle obbligazioni private e pubbliche e dei debiti bancari in possesso di operatori e banche non residenti forma il debito estero di un paese. Si tratta di una variabile finanziaria di estrema importanza che ha segnato profondamente le vicende dei paesi bisognosi di finanziamenti e le varie crisi finanziarie nel corso del XX secolo. Il valore totale delle operazioni finanziarie internazionali realizzate da soggetti residenti in un paese ne determina i movimenti di capitali, che possono essere registrati come entrate di capitali se i soggetti residenti ricevono fondi dall'estero o uscite di capitali se essi danno fondi all'estero. Anche i movimenti di capitali sono una variabile molto importante per i paesi con mercati finanziari aperti, specialmente in relazione ai problemi della loro bilancia dei pagamenti internazionali e ai fenomeni che scatenano le crisi finanziarie.
I vantaggi e gli svantaggi della partecipazione al sistema finanziario internazionale costituiscono una materia molto controversa. In genere, il problema si pone per i paesi orientati ad un modello capitalistico e che sono in una fase di industrializzazione. Questi paesi necessitano di ingenti finanziamenti per acquistare macchinari, impianti, tecnologie e per il settore dell'edilizia e dei trasporti. Per ottenere questi finanziamenti vi sono tre fonti: il risparmio interno, gli aiuti internazionali, il risparmio estero. Poiché il risparmio interno è spesso carente, questi paesi si rivolgono alle altre due fonti. La prima richiede di instaurare relazioni con le organizzazioni economiche internazionali o con governi di paesi donatori; la seconda richiede la partecipazione organica al sistema finanziario internazionale. Il peso di una rispetto all'altra è stato mutevole nel corso degli ultimi cinquant'anni, in relazione alla situazione economica mondiale, al grado di evoluzione dei due sistemi di finanziamento e alla valutazione di governi e studiosi sui meriti e demeriti dell'una e dell'altra. Nel trentennio 1950-80 la maggior parte dei paesi bisognosi di finanziamenti si è rivolta al sistema degli aiuti internazionali. Dal 1980 ad oggi si è registrata un'inversione di tendenza con una netta preponderanza delle fonti finanziarie private. Solo i paesi più poveri dipendono quasi totalmente dagli aiuti internazionali.
Le azioni, le obbligazioni, e in generale tutti i titoli finanziari anonimi e cedibili – tali per cui chi li ha acquistati può non avere nessuna relazione personale diretta con chi li ha emessi e può rivendere il titolo in qualunque momento sul mercato – vengono trattati mediante sistemi di contrattazione centralizzata e simultanea. Queste contrattazioni avvengono in un unico luogo chiamato borsa valori, la cui funzione fondamentale è quella di determinare il prezzo a cui i titoli possono essere comprati e venduti. Le prime borse valori sono nate nel XVI secolo nei paesi del Nord Europa per finanziare le attività delle grandi famiglie e corporazioni commerciali, e hanno svolto un ruolo fondamentale per lo sviluppo del capitalismo nel XIX e XX secolo. La ragione di questo ruolo sta nel fatto che la creazione delle borse ha facilitato il finanziamento di imprese industriali e dei loro investimenti di dimensioni sempre maggiori, suddividendo gli oneri finanziari e i relativi rischi tra una gran quantità di risparmiatori. Per questi ultimi, la creazione della borsa porta il vantaggio di poter confrontare facilmente e in modo trasparente le condizioni economiche delle imprese - in particolare il prezzo delle loro azioni - e di poter comprare e vendere rapidamente i titoli al mutare di tali condizioni. In sintesi, questi vantaggi portati dall'operare delle borse si dicono efficienza finanziaria. Per garantire i risparmiatori e ottenere la maggior efficienza possibile, oggi le borse funzionano in base a regolamenti e disposizioni di legge molto dettagliate, e sono gestite sotto la responsabilità di organi tecnici privati o pubblici. In genere è vantaggioso concentrare le operazioni finanziarie, in quanto si riducono i costi operativi. Quindi di solito in un paese esiste un’unica borsa ed un unico centro finanziario nazionale, come Milano per l'Italia o Parigi per la Francia. Ma anche a livello internazionale vale lo stesso principio; e perciò sono poche le borse dove si concentra la gran parte delle operazioni di rilievo internazionale: New York, Londra, Francoforte, Tokyo. La gran parte dei paesi oggi possiede una borsa valori, ma l'andamento delle contrattazioni e dei prezzi dei titoli tende ad essere molto simile, e a seguire quello che si determina nei principali centri internazionali. Questo fenomeno, noto anche come arbitraggio o integrazione finanziaria, esiste da tempo, ma da circa un ventennio ha assunto un'intensità e una velocità sorprendenti grazie ai sistemi di contrattazione telematica e alla grande diffusione di informazioni attraverso le reti telematiche.
Sin dai tempi della loro apparizione, le borse valori e le banche sono state soggette a crisi. Vale a dire, improvvise ed ampie cadute dei prezzi delle azioni, fallimenti a catena di banche e debitori, impoverimento dei risparmiatori; nei sistemi finanziari aperti, si manifestano anche massicce uscite o "fughe" di capitali e crisi valutarie; questi fenomeni finanziari innescano anche fenomeni economici negativi: riduzione dei consumi, degli investimenti, della crescita e dell’occupazione; a ciò va aggiunto che normalmente una crisi finanziaria non colpisce tutti nella stessa misura, di modo che si registrano forti disuguaglianze tra arricchiti e impoveriti, tra chi può esportare i propri capitali all'estero e chi no, che sfociano in tensioni sociali e politiche. Secondo la classificazione del I.M.F. (Fondo Monetario Internazionale), negli ultimi venticinque anni si sono avute oltre duecento crisi finanziarie. La più grave e importante crisi finanziaria moderna è partita dalla borsa di New York nell'ottobre del 1929 ed ha provocato effetti devastanti sull'economia americana prima, e nel resto del mondo capitalistico poi, per circa quattro anni. La crisi economica degli anni '30 fu una delle cause dello scoppio della II guerra mondiale. La ricostruzione del sistema finanziario internazionale dopo la guerra mise la massima cura nella creazione di organismi di controllo pubblico sulle operazioni finanziarie interne ed internazionali. Questa fase si è conclusa all'inizio degli anni '70, lasciando il passo ad una crescente libertà finanziaria internazionale, riducendo il potere di controllo delle autorità nazionali e delle organizzazioni economiche internazionali, e indicando nell'integrazione nel sistema finanziario internazionale il mezzo per ottenere finanziamenti, combattere la povertà e favorire la crescita economica. L'ottimismo sui benefici del sistema finanziario internazionale, alimentato anche dagli scarsi successi degli aiuti internazionali nei decenni precedenti, si è progressivamente spento verso la fine degli anni '90 a causa di una serie di crisi nate dai problemi connessi con i mercati finanziari internazionali. La maggior parte di esse si è manifestata nei paesi periferici in relazione a problemi di debito estero (Argentina, Brasile, Messico, Russia, Sud-Est Asiatico), ma nel 1987, 1989 e 1998 è stata colpita anche la borsa di New York. Questi eventi ripetuti e gravi hanno prodotto conseguenze molto negative sui paesi colpiti, ma hanno anche messo a repentaglio la stabilità delle economie al centro del sistema finanziario (fenomeno del contagio finanziario). Gli studiosi e i responsabili politici sono tornati a riflettere su quali siano le modalità più vantaggiose per finanziare lo sviluppo e, per quanto riguarda l'utilizzo dei mercati finanziari, sulla necessità di una riforma del sistema internazionale [Robert Triffin (Belgio, 1912), James Tobin (Stati Uniti, 1918), Susan Strange (Inghilterra, 1923-1998), Stanley Fischer (Zambia, 1943), Joseph E. Stiglitz (Stati Uniti, 1940)]. Nel 1999, Stanley Fischer, economista capo del F.M.I., ha scritto: "Poche affermazioni riguardanti il sistema finanziario internazionale riscuotono consenso quanto quella che esso deve essere riformato [...] Ci sono due ragioni principali: a) perché i flussi finanziari verso i paesi bisognosi sono troppo instabili, sottoponendo questi paesi a crisi troppo frequenti e troppo ampie [...] perché il sistema è troppo contagioso".
Nell'attuale organizzazione economica, ogni paese emette una propria moneta (valuta nazionale) che ha valore legale per effettuare i pagamenti all'interno del paese, ma che, generalmente, non viene accettata per effettuare pagamenti in altri paesi. Chi deve effettuare pagamenti all'estero deve procurarsi prima la valuta del paese in cui avviene il pagamento, ossia domanda valuta estera in cambio di valuta nazionale. Viceversa chi ha ricevuto incassi dall'estero deve trasformarli in valuta nazionale, quindi offre valuta estera in cambio di valuta nazionale. L'operazione di scambio tra valuta nazionale e valuta estera (conversione) avviene nel mercato valutario, e ogni paese che intrattiene rapporti economici con altri paesi deve organizzare un mercato valutario per consentire le operazioni di conversione di tutte le valute dei paesi esteri coi quali esiste un reciproco impegno a garantire la conversione delle rispettive valute (accordi di convertibilità). I mercati valutari sono generalmente mercati regolamentati sotto la responsabilità delle autorità monetarie nazionali (es. la banca centrale). L'attività di regolazione dei mercati valutari da parte delle autorità monetarie avviene in varie forme. Principalmente, esse dispongono di scorte di mezzi di pagamento che vengono accettati in tutti i paesi (riserve ufficiali) che utilizzano in particolari circostanze. Le riserve ufficiali normalmente consistono delle principali valute estere e di altri mezzi di pagamento accettati in tutti i paesi, tra i quali l'oro. L'insieme dei mercati valutari, e degli accordi tra le autorità monetarie dei diversi paesi, formano il sistema monetario internazionale. Storicamente si sono creati mercati valutari più importanti di altri, in quanto hanno progressivamente attratto una massa crescente di operazioni valutarie internazionali e perché sono collocati in paesi la cui valuta nazionale è maggiormente domandata a livello mondiale. Attualmente i mercati valutari più importanti sono quelli di New York, Londra, Tokyo e Francoforte. Ad essi corrispondono le quattro principali valute mondiali (valute chiave): dollaro, sterlina, yen, euro. Di fatto non tutti i paesi del mondo hanno un mercato valutario proprio. Tra questi, i paesi più poveri o con scambi internazionali poco sviluppati, le cui valute hanno una quotazione figurativa e sono di fatto sostituite da una delle valute chiave. I paesi socialisti (vedi socialismo) non hanno aderito ad accordi di convertibilità, non hanno mercati valutari veri e propri e la conversione delle loro valute viene determinata autonomamente dalle autorità politiche. Lo scopo principale del mercato valutario è quello di determinare quotidianamente il prezzo delle valute estere per le quali esiste un accordo di convertibilità (quotazione). Tale prezzo si dice tasso di cambio, così definito: TASSO DI CAMBIO = PREZZO IN VALUTA NAZIONALE DI 1 UNITA' DI VALUTA ESTERA. Tendenzialmente, il mercato valutario opera in base alla legge della domanda e dell'offerta, ossia il tasso di cambio con una valuta estera aumenta quando ne aumenta la domanda rispetto all'offerta e diminuisce quando ne aumenta l'offerta rispetto alla domanda. La domanda e l'offerta di valuta estera, a loro volta, sono collegate con la bilancia dei pagamenti internazionali del paese. L'aumento del tasso di cambio con una valuta estera si dice anche svalutazione (riferendosi al fatto che la valuta nazionale vale meno rispetto a quella estera); la diminuzione del tasso di cambio con un valuta estera si dice anche rivalutazione (riferendosi al fatto che la valuta nazionale vale di più rispetto a quella estera).
L'euro è la valuta ufficiale della Unione
Monetaria Europea, istituita il 1 gennaio 1999. L'Unione Monetaria Europea
comprende undici paesi della Unione Europea (Austria, Belgio, Finlandia,
Francia, Germania, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna).
Nel corso del 1999 il tasso di cambio dell'euro rispetto al dollaro è diminuito
da 1,17 a 1,01. Quindi il dollaro si è rivalutato rispetto all'euro di 16
centesimi, pari al 13,7% della quotazione iniziale. Il tasso di cambio è una
variabile economica molto importante perché influisce direttamente sulle
condizioni economiche degli operatori interni: il tasso di cambio con una valuta
estera determina il prezzo delle merci acquistate o vendute nel corrispondente
paese estero: un aumento del tasso di cambio (svalutazione) rende più costose le
merci acquistate all'estero (svantaggia i consumatori e le imprese che
acquistano materie prime e riduce gli acquisti dall'estero), ma rende meno
costose le merci vendute all'estero (avvantaggia le imprese che vendono
all'estero e ne incrementa le vendite); una diminuzione del tasso di cambio ha
effetti opposti. Il tasso di cambio con una valuta estera determina anche il
rendimento dei titoli finanziari acquistati o venduti all'estero: una
svalutazione aumenta il rendimento dei titoli acquistati all'estero (stimola le
uscite di capitali), mentre una rivalutazione lo riduce (stimola le entrate di
capitali). Sebbene vi sia un mercato valutario in ogni paese con un adeguato
ammontare di scambi internazionali, i mercati tendono ad operare in maniera
fortemente integrata, vale a dire che le operazioni valutarie che avvengono su
un mercato tengono conto di quelle che stanno avvenendo, o sono appena avvenute,
su tutti gli altri. In particolare gli operatori valutari tengono conto delle
quotazioni delle valute sui diversi mercati, in modo da acquistare o vendere
alle migliori condizioni (arbitraggio). Queste opportunità sono state molto
ampliate e rafforzate negli anni più recenti grazie ai nuovi sistemi di
contrattazione telematica. Di conseguenza le quotazioni di una valuta tendono ad
essere uniformi su tutti i mercati e diviene sempre meno importante la località
geografica in cui si trova ad agire il singolo operatore. Siccome il tasso di
cambio risponde alle differenze tra domanda e offerta di valuta, le autorità
monetarie possono influenzarne l'andamento intervenendo dal lato della domanda o
dell'offerta. Questo tipo d'intervento è reso possibile dal fatto che le
autorità monetarie dispongono di un certo ammontare di riserve ufficiali che
possono impiegare quando lo ritengono opportuno. La regolazione del tasso di
cambio da parte delle autorità monetarie di un paese può essere:
* vincolata in base ad accordi internazionali (accordi di cambio), nel qual caso
le autorità monetarie s'impegnano a mantenere il tasso di cambio della valuta
nazionale con una data valuta estera, o con un insieme di valute estere, pari ad
un dato valore prefissato (parità fissa) o entro un determinato intervallo
(banda di oscillazione), e di conseguenza sono obbligate ad intervenire nel
mercato valutario ogni qualvolta si presenti una divergenza tra domanda e
offerta di valuta estera tale per cui il tasso di cambio tenderebbe ad
allontanarsi dalla parità prefissata
* discrezionale, nel qual caso le autorità non hanno accordi di cambio e possono
liberamente decidere se lasciare determinare il tasso di cambio dal mercato
(fluttuazione) oppure se intervenire per guidarlo verso il valore ritenuto più
opportuno.
Il mercato valutario, l'andamento dei tassi di
cambio e la loro regolazione sono fattori critici estremamente delicati e
complessi per tutti i paesi, ma in particolar modo per i paesi poveri e per i
paesi in fase di crescita economica. Le scelte che si presentano alle autorità
di politica economica appaiono controverse, sia in sede teorica che in sede di
esperienza storica. In particolare, esse si trovano a dover confrontare da un
lato i vantaggi di una piena integrazione nel sistema economico mondiale,
dall'altro i rischi e i costi molto elevati connessi con le difficoltà di
regolazione dei mercati valutari, che possono sfociare in gravi. Si parla di
crisi valutaria quando la valuta di un paese tende ad assumere valori di mercato
in contrasto con gli accordi di cambio stipulati dalle autorità monetarie o, in
assenza di accordi, quando essa manifesta una forte e perdurante tendenza alla
svalutazione. In entrambi i casi, la causa immediata è un persistente eccesso
della domanda di valuta rispetto all'offerta mentre, generalmente, la causa di
fondo è un disavanzo fondamentale della bilancia dei pagamenti. Spesso una crisi
valutaria si manifesta in concomitanza con una crisi finanziaria. Il punto
critico della crisi valutaria sta nel fatto che la svalutazione, e soprattutto
le aspettative di svalutazione, si autoalimentano, in quanto tali aspettative
spingono a vendere la valuta nazionale, e quindi amplificano la svalutazione
stessa (attacco speculativo). Le autorità monetarie sono indotte ad intervenire
per stabilizzare il tasso di cambio vendendo valute di riserva. Ma l'ammontare
di riserve è limitato e quindi le autorità monetarie non possono impegnarsi ad
intervenire illimitatamente. Di conseguenza, le manifestazioni tipiche di una
crisi valutaria sono:
* rapido esaurimento delle riserve ufficiali
* in caso di accordi di cambio, rottura degli accordi e passaggio alla
fluttuazione con ampia e immediata svalutazione della valuta nazionale
* in caso di continua svalutazione, adozione di politiche di correzione della
bilancia dei pagamenti
* ricorso a prestiti internazionali per ricostituire le riserve, generalmente
concordati con il I.M.F. (Fondo Monetario Internazionale) e subordinati
all'adozione delle politiche suddette.
La teoria economica non dà indicazioni univoche su quale sia il regime valutario ottimale, e probabilmente la risposta migliore è che esso dipende dalla circostanze esterne ed interne al paese. Ci sono ragioni che militano a favore tanto di un regime valutario imperniato su accordi di cambio, quanto di un regime di libera fluttuazione delle valute. L'esperienza storica mostra che né l'uno né l'altro offrono garanzie assolute contro crisi valutarie. Gli studiosi d'ispirazione liberista classica sono tendenzialmente favorevoli ad un regime di fluttuazione delle valute in quanto non obbliga le autorità monetarie ad intervenire, non le espone al rischio di esaurimento delle riserve e lascia al mercato valutario il compito di determinare i tassi di cambio in modo compatibile con l'equilibrio della bilancia dei pagamenti [Milton Friedman (Stati Uniti, 1912)]. Gli economisti favorevoli alla regolazione del sistema internazionale mettono in primo piano l'instabilità del mercato valutario, a cui propongono di porre rimedio fissando accordi di cambio, ma nel contempo predisponendo delle misure di sostegno (vedi aiuti internazionali) per i paesi che devono superare fasi di disavanzo della bilancia dei pagamenti [John M. Keynes (Gran Bretagna, 1883-1946), Robert Triffin (Belgio, 1912), Nicholas Kaldor (Ungheria, 1908-1986), Susan Strange (Gran Bretagna, 1923-1998)]. La scelta della fluttuazione della valuta nazionale è stata prevalente in America Latina negli anni Settanta, ma essa, a lungo andare, non è stata in grado di scongiurare crisi valutarie associate ad elevati tassi di aumento dei prezzi. A partire dagli anni Ottanta il F.M.I. ha favorito, per i paesi dell'America Latina e dell'Estremo Oriente, regimi valutari imperniati su accordi di cambio limitati (ancoraggi) con le valute chiave continentali, rispettivamente il dollaro e lo yen. Tuttavia, non erano previste misure preventive di difesa valutaria. Anche il sistema degli ancoraggi alle valute chiave è entrato in crisi intorno alla metà degli anni Novanta: gli episodi più gravi si sono avuti in Messico, Argentina, Brasile e, più tardi, nei maggiori paesi del Sud-Est asiatico, Taiwan, Corea, Malesia, Indonesia, Singapore.