E' esperienza abbastanza comune per ognuno di noi quella di identificare le emozioni provate in base a sensazioni fisiche; così ci capiterà di sentire il cuore in gola o lo stomaco chiuso quando aspettiamo con ansia e un po' di timore il verificarsi di un evento tanto atteso, oppure impallidiremo e ci sembrerà di essere paralizzati dalla paura di fronte ad un evento spaventoso oppure ancora arrossiremo e tremeremo di rabbia di fronte ad un grave torto subito. Riflettendo su queste ed altre analoghe esperienze può risultare cosa scontata sostenere che il corpo è lo sfondo di tutti gli eventi psichici e quindi considerare del tutto logico la presenza di uno stretto legame tra mente e corpo o, ancor più considerare del tutto scontata l'unità somato-psichica dell'uomo, unità che implica una profonda ripercussione del benessere fisico sugli stati d'animo e viceversa una profonda influenza delle emozioni sul corpo e sul suo benessere tanto da richiedere che qualsiasi malattia fisica venga indagata non solo da un punto di vista medico e psicologico, ma anche considerando l'aspetto emotivo che l'accompagna.
In realtà queste affermazioni non
sono affatto scontate, almeno a livello filosofico. Infatti nel corso dei secoli
si è assistito ad un ampio dibattito intorno a tali questioni e non solo per le
diverse posizioni assunte dagli studiosi nel tentativo di dare una risposta al
problema, ma anche per il modo in cui di volta in volta veniva posta la
questione e per il significato attribuito, nei vari periodi storici, ai termini
"mente" e "corpo". L'evoluzione storica, in ambito filosofico, del problema del
rapporto tra mente e corpo possa essere divisa in tre fasi:
* Il periodo compreso tra la filosofia greca e Cartesio
* Il periodo successivo a Cartesio, questi incluso, fino all'epoca contemporanea
* L'età contemporanea, durante la quale il problema è stato ripreso.
Il periodo comprende la filosofia antica, medioevale e rinascimentale. Occorre puntualizzare che durante questa fase più che di rapporto mente-corpo occorre parlare di rapporto anima-corpo dove per anima si intende il principio di vita, la vita stessa, mentre per corpo si intende la materia inanimata, la materia senza vita. Platone è il primo netto sostenitore di una posizione dualistica: anima e corpo sono due sostanze distinte, irriducibili l'una all'altra, indipendenti. In particolare l'anima è immortale e non solo continua a vivere dopo la morte del corpo, ma è esistita anche prima del corpo al quale è stata incatenata. L'anima è il centro della vita intellettiva ed etica dell'uomo, è l'essenza dell'uomo ed è concepita come immateriale. Aristotele, al contrario, rifiuta il dualismo platonico: pur concentrandosi sul significato di anima come vita, ritiene che essa non possa essere separata dal corpo, ma anzi identifica l'anima con capacità specifiche del corpo, e cioè con quelle capacità che consentono all'organismo di vivere. In questo senso non ci può essere distinzione, se non a livello filosofico, tra anima e corpo. Durante il Medioevo il rapporto anima-corpo viene dibattuto tra religione e filosofia nel tentativo di costruire una filosofia cristiana che conciliasse l'idea dell'immortalità dell'anima e della mortalità del corpo, con quella dell'uomo inteso come totalità di anima e corpo. Con il Rinascimento continua ad essere dibattuta non solo la questione del rapporto mente-anima come l'avevano impostata Platone da un lato e Aristotele dall'altro, ma anche l'accezione fondamentale che la nozione di anima aveva avuto per tutta la sua storia, cioè quella del suo rapporto essenziale con la vita. Da questo punto di vista il concetto di anima viene esteso a tutta la natura.
Nel corso del Seicento la concezione di una natura tutta animata, governata da forze simili a quelle che operano all'interno dell'uomo lascerà il posto alla concezione portata avanti dalla scienza moderna che proporrà un'immagine della natura inanimata, fatta di corpi che si muovono seguendo leggi puramente meccaniche. Da questo punto di vista è facile intuire che le nozioni di anima di origine platonica o aristotelica non hanno più alcun valore. In effetti, come scriverà Cartesio, gli animali si muovono "solo per una disposizione dei loro organi" (Cartesio, Discorso sul metodo, parte V). Con Cartesio si compie una svolta nell'impostazione del problema mente-corpo: infatti se la vita è un meccanismo, l'anima non può più essere considerata vita o fonte di vita, come sostenevano Platone e Aristotele. Si apre così la strada alla moderna e contemporanea accezione del termine mente: l'anima è privata delle funzioni vitali e ridotta a pensiero, a ragione ad autocoscienza; da Cartesio in poi il problema mente-corpo diventa il problema del rapporto tra processi fisico-fisiologici e processi psichici; Cartesio distingue il corpo, inteso come macchina, la materia che ha un'estensione, dall'anima che pensa, ma è priva di estensione e interagisce con il corpo a livello della ghiandola pineale. Il corpo comincia ad essere considerato un meccanismo perfetto, paragonabile ad una macchina idraulica, al cui funzionamento viene data un’interpretazione meccanicistica. Inutile dire che tali concezioni influenzeranno notevolmente il progresso delle ricerche in ambito anatomico e fisiologico. Al contrario la mente viene concepita come la sede delle idee. Secondo Cartesio queste ultime, possono derivare dai sensi, dalla memoria o dall'immaginazione - costituendo così il legame tra mente e oggetti -, oppure possono essere innate sorgendo direttamente dalla mente come principi assolutamente basilari che devono essere scoperti dall'uomo a partire dall'esperienza. Cartesio segna una pietra miliare nel processo che consente di determinare le condizioni per la nascita di una scienza dell'uomo. Infatti da questo momento in poi si aprono due strade agli studiosi . Gli empiristi inglesi mettono da parte i problemi dell'essenza della mente per dedicarsi allo studio dei suoi processi ed effetti . Gli ideologi francesi sviluppano, in una prospettiva meccanicistica, lo studio del corpo come macchina autosufficiente in grado di funzionare, sul piano del comportamento, indipendentemente dalla mente, per poi giungere a riconsiderare l'uomo come totalità animata. Da questo punto di vista gli empiristi con Locke, Hume e Kant pur non negando l'esistenza dell'anima, e la liceità di un'indagine metafisica sulla sua essenza, distinguono tra i "prodotti" dell'anima, in termini di processi ed effetti, e sostanza che la compone. In questo senso i primi possono essere studiati scientificamente, i secondi solo attraverso la metafisica. Pertanto la prospettiva di tali autori prende in considerazione non l'entità "mente" ma l'attività, gli stati o le funzioni mentali da un lato e dall’altro lo studio dei rapporti mente-corpo teso a ricercare le corrispondenze tra processi mentali e processi corporei. In particolare David Hume individuò nelle associazioni i processi fondamentali che regolano l'intelletto, mentre il compito di affrontare i legami tra mente e corpo fu affrontato principalmente da un medico, David Hartley, che, pur adottando una posizione dualistica (scriverà nel 1794 che "l'uomo consiste di due parti, l'anima e il corpo"), si muoveva nella scia del programma enunciato da Locke che aveva più volte affermato l'esistenza di un'interazione tra corpo e operazioni dell'intelletto. In modo ancor più risoluto con Alexander Bain si affermò la necessità di dare una base neurofisiologica ad ogni studio del comportamento; è sua l'affermazione secondo la quale "la mente è completamente alla mercè delle condizioni corporee". Secondo tale autore infatti il movimento precede la sensazione e questa a sua volta precede il pensiero. Al contrario la scuola francese, a partire da Buffon, cominciò a studiare l'uomo come parte integrante della natura, nelle sue somiglianze e differenze con gli animali. Più che alla mente gli studi erano rivolti al corpo, alla materia. Emblematica in questo senso è la frase di La Mettrie secondo cui "il cervello ha i suoi muscoli per pensare, come le gambe hanno i loro per camminare". In altre parole, secondo questo autore la mente non è altro che una proprietà della materia; ciò che distingue la materia vivente da quella non vivente è che la prima è organizzata e tale organizzazione le fornisce un principio motore interno. Da ciò segue che tra uomo e animale le uniche differenze non possono che essere quantitative, nel senso che la maggior semplicità dell'animale farà di esso una macchina meno complessa. Analogamente in Cabanis (1802) il pensiero sta al cervello come il succo gastrico allo stomaco anche se per tale autore non vi è dipendenza del corpo da un'anima ontologicamente distinta, così come non vi è semplice riduzione dell'anima ai meccanismi biologici. Fisico e morale sono per lui profondamente interconnessi, ma poli opposti di un'unica dimensione. Nella sua concezione assume importanza preminente il ruolo del sistema nervoso, che raggiunge ogni parte del corpo, governandola e regolandola; e che nello stesso tempo, attraverso gli organi di senso, raccoglie le impressioni dal mondo in cui l'individuo si trova ad agire. Tuttavia, la supremazia del sistema nervoso, che viene a sostituire nelle loro funzioni ciò che di volta in volta è stato chiamato anima o mente o spirito dei precedenti filosofi, è soggetta anch'essa a tutte le leggi che regolano ogni altra parte del corpo, essendo del corpo parte integrante. In altri termini con Cabanis finalmente si affaccia quella concezione dell'uomo che si affermerà poi definitivamente nel secolo successivo e sarà quindi dominante fino ai giorni nostri: il "morale" è funzione del sistema nervoso e in primo luogo del cervello, ed è principio regolatore del "fisico"; ma cervello e sistema nervoso, di cui il morale è funzione, fanno a loro volta parte del fisico. Pertanto, a livello filosofico, l'unità dell'uomo è definitivamente affermata.
La medesima conclusione è valida anche se ci poniamo da un punto di vista fisiologico. Infatti, è ormai da tempo provato che i sistemi nervoso, endocrino e immunitario comunicano tra loro. Ciò significa ancora una volta che la mente, le emozioni e il corpo non sono entità separate, ma interconnesse. Basti pensare ad esempio che gli stessi messaggeri chimici che operano in modo estremamente esteso sia nel cervello che nel sistema immunitario sono anche quelli più frequenti nelle aree neurali che regolano le emozioni.
Alcune delle prove più convincenti dell'esistenza di una via diretta che permette alle emozioni di avere un impatto sul sistema immunitario sono state fornite da David Felten. Tale studioso partendo dall'osservazione che le emozioni hanno un potente effetto sul sistema nervoso autonomo, ha scoperto che le cellule immunitarie possono essere il bersaglio dei messaggi nervosi. Per contro sembra che una condizione mentale serena determini un migliore andamento delle forme patologiche e una minore probabilità di ammalarsi. Ad esempio Seligman (1990) ritiene che l'ottimismo possa influenzare la salute mantenendo le difese immunitarie più attive, mentre Carver (1993), Visintainer (1982) e Friedman (1993) ritengono che essere ottimisti dia dei vantaggi notevoli alle persone affette da tumore, sia a livello diagnostico sia a livello curativo e ipotizzano che i fattori psicologici possano essere una delle variabili influenti nel processo invasivo della nascita del tumore. Inoltre, come sostiene Oliviero, avere uno spirito reattivo e combattivo ed essere ottimisti di fronte ad una malattia aiuta di più che essere depressi e passivi anche perché si mettono in atto dei comportamenti preventivi e curativi più adeguati e tempestivi. Secondo Goleman (1995) è possibile dimostrare scientificamente che curando lo stato emotivo degli individui insieme alla loro condizione fisica è possibile ritagliare un margine di efficacia in termini medici, sia a livello di prevenzione che di trattamento. Del resto già gli antichi latini erano soliti pensare che ci fosse una reciproca influenza tra benessere fisico e benessere psicologico, riassumendo tale concezione nella celebre massima "mens sana in corpore sano". In epoca più recente lo scrittore americano Nathaniel Hawthorne rifletteva lo spirito del suo tempo quando, prima del 1860 scriveva: "Una malattia che noi consideriamo qualcosa di completo in se stessa, può dopo tutto non essere che un sintomo di qualche sofferenza in campo spirituale"; e in altre pagine aggiungeva "Il medico considera essenziale conoscere l'uomo prima di tentare di curarlo. Dovunque vi siano cuore e intelletto, queste parti dell'uomo coloriscono le malattie della sfera fisica con le loro caratteristiche ". Da tutte queste considerazioni appare evidente quanto sia importante che la medicina sia disposta a guardare e a trattare il soggetto che soffre nell'interezza della psiche e del corpo, opponendosi a quella cultura scientifica che è venuta perdendo il senso dell'unità soma-psiche e che spesso si occupa più di curare l'organo o la patologia che il malato. Da questo punto di vista la medicina psicosomatica, in un'accezione ampia, rappresenta quella concezione che, oltrepassando il dualismo psicofisico, che separa il corpo dalla mente, guarda all'uomo come un tutto unitario dove la malattia si manifesta a livello organico come sintomo e a livello psicologico come disagio. Adottando questo punto di vista, la medicina psicosomatica ribalta lo schema classico, che prevedeva la lesione dell'organo quale causa della sua disfunzione, a sua volta causa della malattia, nello schema secondo cui il mantenersi di uno stress funzionale, che ha la sua origine nella vita quotidiana dell'individuo in lotta per l'esistenza, genera quella disfunzione dell'organo, causa della lesione, a sua volta causa della malattia.