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Debito Estero

Debito: "termine con cui si designa l'aspetto passivo del rapporto obbligatorio, e cioè il dovere del debitore di eseguire la prestazione dovuta". Il debito pubblico è quello che "lo stato e gli enti del settore pubblico contraggono per far fronte ai saldi negativi di bilancio". I paesi in via di sviluppo hanno acquisito prestiti dall'estero al fine di avviare un processo di sviluppo economico interno: una gran crescita del volume dei prestiti si è registrata in particolare negli anni '70, ma già nel 1982, quando il Messico dichiara di non poter più pagare i propri debiti, il mondo si accorge dell'esistenza di un problema: anche gli stati possono andare in fallimento, trascinando con sé le banche e i risparmi degli investitori nei paesi ricchi. Ma le conseguenze sono ben peggiori per i paesi indebitati: anche in condizioni "normali" si crea, a causa degli interessi, una spirale per cui il debito aumenta con il passare del tempo anche se viene regolarmente pagato, e i governi non hanno mai a disposizione denaro per il benessere dei cittadini e per costruire il loro futuro. A partire dal 1982 i piani per risolvere il problema si susseguono con regolarità, con l'obiettivo di salvare le banche dei paesi ricchi e fare in modo che i paesi "in via di sviluppo" continuino a pagare i loro debiti. Gli economisti e i politici non si sono mai chiesti se sia giusto pagare i debiti, chi li ha contratti e perché: cominciano però a domandarlo le organizzazioni che lavorano a contatto con i poveri, che si occupano di aiuto allo sviluppo, i missionari, le associazioni di solidarietà e per la difesa dei diritti umani. Con il passare degli anni risulta sempre più evidente il fallimento delle ricette per lo sviluppo e molti paesi in difficoltà, una volta in cura dai medici del Fondo Monetario Internazionale, si ammalano sempre più gravemente: talvolta, come è stato il caso dello Zimbabwe, arrivano al punto di perdere la possibilità di sfamare la popolazione e diventano dipendenti dagli aiuti alimentari internazionali. Cresce un movimento di opinione e sono sempre di più le organizzazioni che lavorano da una parte per far fronte alle emergenze, dall'altra per costruire un futuro diverso. Il "grande Giubileo" dell'era cristiana ha ispirato la richiesta di una remissione dei debiti per tutti, richiamandosi alla tradizione biblica: un nuova partenza, una nuova possibilità per dare speranza agli abitanti della Terra nel prossimo millennio.

Il debito estero è la somma totale, in genere misurata su base annua, che gli operatori privati e pubblici di un paese debbono versare a scadenze prestabilite ad operatori privati o pubblici residenti all'estero. Si distingue tra capitale, la somma prestata e dovuta, e interessi, i pagamenti aggiuntivi dovuti in proporzione al capitale. Il debito estero di un paese si forma se il fabbisogno di fondi per finanziare la spesa privata in investimenti e la spesa pubblica dello Stato (fabbisogno finanziario nazionale) supera la disponibilità di fondi data dal risparmio privato: (a) se gli operatori nazionali sono liberi di prendere a prestito da operatori esteri tramite i mercati finanziari, ossia vige libera circolazione dei capitali, allora si forma debito estero privato; (b) se gli operatori nazionali in tutto o in parte si rivolgono ad organizzazioni economiche internazionali o a istituzioni pubbliche estere, allora si forma debito estero ufficiale. Il debito estero privato è generalmente a titolo oneroso, ossia richiede il pagamento di interessi in base alle condizioni di mercato; il debito estero ufficiale può essere oneroso oppure agevolato (gli interessi sono inferiori a quelli di mercato) oppure gratuito (è dovuta solo la restituzione del capitale). Il debito estero può essere il risultato fisiologico di un processo di crescita economica, quando questa richiede un fabbisogno finanziario nazionale superiore al risparmio privato. Siccome questa situazione è molto comune nei paesi che partono da livelli di reddito medio-bassi, si è sempre raccomandato a questa categoria di paesi di ottenere finanziamenti dall'estero, sia per via privata che ufficiale. Fasi di indebitamento estero sono state presenti nella storia dei maggiori paesi industrializzati. Tuttavia, il fabbisogno finanziario estero può protrarsi per molti anni, e quindi il debito estero può crescere in misura cospicua. Questo fatto può produrre delle conseguenze sia finanziarie che economiche assai complesse, che in molti casi sono sfociate in crisi finanziarie e crisi valutarie drammatiche. Una presentazione sommaria dei fattori critici che accompagnano la crescita del debito estero è la seguente.

In linea di principio, chi riceve un prestito, e a maggior ragione chi riceve prestiti per più anni, deve dimostrare di essere in grado ripagare il debito, sia che si tratti di debito oneroso oppure no.

Affinché un prestito sia ripagabile occorre che il capitale ricevuto sia impiegato in maniera da produrre un rendimento sufficiente. Nel caso in esame, occorre che questo principio sia vero per tutti (o la gran parte) degli operatori nazionali che hanno ricevuto prestiti dall'estero.

Inoltre, i pagamenti connessi col debito estero (rate del capitale e interessi, detti servizio del debito) presentano la complicazione di dover disporre della valuta estera dei paesi creditori (generalmente, i prestiti internazionali sono tutti denominati in dollari americani) e quindi incidono sulla bilancia dei pagamenti internazionali del paese debitore (precisamente sono registrati nella bilancia dei redditi). Maggiore è il servizio del debito, maggiore è il fabbisogno di valuta estera.

L'effetto combinato dei precedenti punti dà luogo ad una condizione critica, a cui guardano tutti gli operatori finanziari internazionali, per giudicare se un paese debitore sarà in grado di ripagare il debito oppure no: da un certo momento in poi, le entrate annuali di valuta estera devono essere almeno uguali alle uscite annuali del servizio del debito. A loro volta, le entrate annuali di valuta estera devono provenire da esportazioni all'estero di beni e servizi maggiori delle importazioni (vale a dire un avanzo della bilancia commerciale). In sintesi, un paese debitore deve soddisfare questa condizione di equilibrio finanziario: AVANZO COMMERCIALE = BILANCIA DEI REDDITI (SERVIZIO DEL DEBITO)

Esiste una stretta relazione tra il problema del debito estero e il commercio internazionale. Storicamente, il punto critico delle esperienze di indebitamento estero sta nell'onere per il paese debitore di dover diventare, entro un periodo di tempo sufficiente, un paese esportatore netto in misura da compensare il servizio del debito. Si tratta di un onere economico, poiché essere un esportatore netto significa mantenere la spesa nazionale (consumi, investimenti e spesa pubblica) al di sotto del reddito nazionale, o in altri termini consumare meno di quanto si produce. REDDITO NAZIONALE - SPESA NAZIONALE = AVANZO COMMERCIALE = SERVIZIO DEL DEBITO. La logica economica dell'intera operazione è che inizialmente l'indebitamento serve per fare aumentare il reddito nazionale (in quanto esso consente di finanziare spese che altrimenti non potrebbe essere fatte), e da un certo punto in poi parte dell'aumento del reddito nazionale va a ripagare il debito. Tuttavia, molti ostacoli o errori possono impedire il successo dell'operazione. L'esperienza storica mostra i seguenti:

* I finanziamenti esteri possono essere impiegati malamente, cioè in modi che non fanno aumentare permanentemente il livello del reddito nazionale. Esempi tipici sono spese private o pubbliche improduttive (mantenimento di attività obsolete e in perdita, armamenti, espansione della pubblica amministrazione) oppure investimenti errati o incompiuti (edilizia di lusso, impianti inutilizzabili perché troppo obsoleti o troppo avanzati, reti stradali inutili).

* Il reddito nazionale cresce troppo lentamente rispetto al servizio del debito, e/o la bilancia commerciale non riesce a compensare la bilancia dei redditi. L'andamento temporale delle due variabili si è spesso rivelato fatale, soprattutto quando i creditori sono privati. Tuttavia, nella pratica è molto difficile stabilire a priori quando un paese debitore viene giudicato non in grado di pagare dai "mercati". Molto spesso si determinano condizioni di inerzia, per cui si continua a finanziare un paese poco promettente, per poi interrompere i finanziamenti repentinamente innescando una crisi finanziaria.

* Fattori aggravanti del problema precedente possono subentrare a causa di mutamenti delle condizioni economiche internazionali, quali: - caduta della domanda estera per i beni prodotti dal paese debitore; caduta degli incassi di valuta estera derivanti dalle esportazioni (un caso tipico è quello di paesi esportatori di materie prime, il cui prezzo è molto variabile e può subire forti riduzioni); aumento dei tassi d'interesse e quindi aumento del servizio del debito.

* Un altro problema che nasce dal precedente problema è che, in presenza di un avanzo commerciale insufficiente rispetto al servizio del debito, il governo del paese debitore, spesso dietro pressione delle organizzazioni economiche internazionali, deve attuare delle politiche dirette ad aumentare le esportazioni e a ridurre le importazioni commerciali. Nel gergo del I.M.F. (Fondo Monetario Internazionale) si tratta delle politiche di aggiustamento strutturale, le quali consistono principalmente di due interventi: aumento della competitività delle industrie esportatrici mediante riduzione di costi e salari; riduzione della spesa nazionale mediante tagli ai consumi e alla spesa pubblica.

Per i paesi debitori in difficoltà, queste politiche sono spesso richieste come condizione per ottenere finanziamenti aggiuntivi privati o ufficiali garantiti dal I.M.F. (Fondo Monetario Internazionale) Tuttavia, queste politiche a loro volta aprono solitamente acuti problemi politici e sociali in quanto possono comportare forti riduzioni del tenore di vita della popolazione.

 

L'insuccesso nella gestione del debito estero è stata una delle cause principali dei fallimenti delle politiche di sviluppo, di molte crisi finanziarie e crisi valutarie nel corso del XX secolo. Nella storia recente successiva alla II guerra mondiale si possono ricordare i seguenti episodi di maggior rilievo, legati a paesi in fase di industrializzazione.

America Latina, 1982

Intorno alla metà degli anni '70, banche nella maggior parte dei casi statunitensi effettuarono massicci prestiti in due aree, l'America Latina (Messico, Argentina, Brasile, Cile) e il Sud-Est Asiatico (Corea del Sud, Taiwan, Singapore, Malesia). Questi paesi accumularono un elevatissimo debito estero in poco tempo che, a differenza di quanto era avvenuto in precedenza, era oneroso e a breve termine. Nel 1980-81 vi fu un brusco peggioramento delle condizioni economiche internazionali (riduzione delle esportazioni e aumento dei tassi d'interesse) che colpì in particolare la capacità di servizio del debito dei paesi latino-americani. Le entrate valutarie caddero del 30%, mentre il servizio del debito aumentò del 50%. Nel 1982 il Messico dichiarò ufficialmente l'impossibilità di ripagare il debito estero verso le banche nord-americane. Tra il 1982 e il 1984 il reddito pro-capite in tutta l'area cadde di oltre il 3%.

Messico, 1994-95

Nel decennio successivo alla prima crisi latino-americana la composizione dei finanziamenti internazionali si modificò in misura notevole, spostandosi dal credito bancario ai canali finanziari non-bancari guidati dalle borse dei maggiori centri finanziari mondiali. Ciò nonostante, nuovamente in America Latina, il paese che più aveva attratto finanziamenti mondiali in quanto in fase di rapida industrializzazione, il Messico, subì un progressivo peggioramento della propria bilancia commerciale e nel 1994 risultò evidente che non sarebbe stato in grado continuare a pagare il servizio del debito (vedi §4). Nel tentativo di migliorare la bilancia commerciale il tasso di cambio del peso messicano verso il dollaro americano venne svalutato di circa il 100% e il reddito nazionale si ridusse del 7%.

Sud-Est Asiatico e Russia, 1997-98

Pochi anni dopo la seconda crisi latino-americana, anche l'altra area che dagli anni'80 ha attratto la maggior parte dei finanziamenti privati subì una crisi analoga. Si trattò di una vicenda in cui pesarono molto errori di valutazione degli operatori privati, tanto esteri quanto locali, che portarono a ingenti investimenti errati o improduttivi e a una correzione tardiva e traumatica (vedi §4). A differenza che in passato, questa crisi si propagò anche verso il centro del sistema finanziario. La Russia fu coinvolta in quanto considerato "paese a rischio", così che i finanziatori internazionali che stavano subendo perdite ritirarono i loro capitali. D'altra parte, la Russia dei primi anni '90 fornì un altro esempio di come una crisi del debito estero possa nascere da un uso sconsiderato dei prestiti ricevuti, nonostante avessero una maggior componente ufficiale e di garanzia da parte del I.M.F. (Fondo Monetario Internazionale). Per queste ragioni la crisi del 1997-98 fu lunga, coinvolse direttamente le autorità economiche dei maggiori paesi mondiali e delle organizzazioni economiche internazionali, e segnò l'inizio di una fase di ripensamento sul sistema finanziario internazionale.

Il problema del debito estero non presenta solo aspetti economici, ma anche politici, sociali ed etici. La ragione sta nell'esperienza storica di molti paesi, dove il problema del debito estero ha comportato impoverimento, disuguaglianze, conflitti sociali. Oggi vi sono situazioni in cui il debito estero pro-capite supera il reddito pro-capite. Queste situazioni hanno dato vita ad un vasto movimento sociale internazionale fautore di un approccio etico al problema del debito estero dei paesi poveri. Questo movimento comprende studiosi indipendenti, esponenti politici, organizzazioni non governative, ed istituzioni ecclesiastiche. La richiesta principale è quella di una moratoria del debito, cioè una forte riduzione o dilazione dei pagamenti, e la cancellazione per i paesi più poveri. Sul terreno etico si scontrano due princìpi da sempre in conflitto nel pensiero economico e sociale: il dovere di rispettare i patti e di comportarsi in modo coerente con tale impegno, da un lato, il diritto di rifiutare obblighi lesivi della libertà, della dignità e del giusto tenore di vita, dall'altro. Pagare i debiti è un dovere, ma fino a che punto? I fautori dell'etica del capitalismo fanno prevalere il dovere di rispettare i patti, che sta alla base di un ordinato e giusto svolgimento della vita economica. I fautori della moratoria sul debito evidenziano che, nei concreti casi storici, la formazione, l'evoluzione, i benefici e i costi del debito estero non dipendono solo dalla volontà di un singolo paese, né di tutta la sua popolazione indistintamente. Le responsabilità sono spesso molteplici e ricadono anche su fattori esterni legati all'economia internazionale, non ultimi gli stessi finanziatori esteri. Quindi è giustificabile, soprattutto nel caso dei paesi più poveri, che sia la comunità internazionale a collaborare nella soluzione.

Per risalire alle cause della crisi del debito bisogna arrivare alla guerra del Vietnam, quando gli Stati Uniti, non riuscendo più a pagare i costi della guerra, cominciarono a stampare più dollari per finanziarla. Ciò provocò una svalutazione del dollaro e i produttori di petrolio del Medio Oriente alzarono i prezzi per mantenere alte le entrate, incamerando un enorme quantitativo di denaro. Dollari finiti nei forzieri delle banche europee, che cominciarono a prestarlo a tassi molto bassi ai governi del Sud: si prestava a prescindere dalla possibilità che i debiti venissero poi ripagati, creando un meccanismo del tutto irresponsabile. All'inizio degli anni '70 gli interessi erano addirittura negativi, poiché l'inflazione era spesso più alta degli interessi del debito. Non si pensava ai problemi che sarebbero sorti di lì a poco: i PVS si sarebbero "sicuramente" sviluppati, esportando le loro ricchezze e aprendo i loro mercati. L'indebitamento divenne irreversibile dopo i due shock petroliferi del '73 e del '79: aumentò in modo esponenziale il prezzo del petrolio, determinando di nuovo un aumento del denaro in circolazione e delle possibilità di prestito. Ma cambiarono allora due variabili economiche fondamentali: aumentò il tasso di interesse e diminuì la richiesta di beni da importare nei paesi ricchi. Di conseguenza i debiti, contratti a tassi di interesse variabile, crebbero in modo vertiginoso e diminuirono sia le esportazioni che i prezzi dei beni esportati, in particolare dei prodotti agricoli, sui quali si erano basate le promesse della "rivoluzione verde". I piani di rinegoziazione del debito videro il Piano Baker nel 1986 e il Piano Brady nel 1989, mentre FMI e Banca Mondiale arrivavano in aiuto con nuovi capitali, che aumentavano ulteriormente il debito. In cambio del salvataggio il FMI poneva come condizione i piani di aggiustamento strutturale, che hanno lo scopo di stabilizzare i bilanci dei paesi e di aprire le economie al mercato globale. Per rispettare le richieste dei piani di aggiustamento servirono politiche di austerità, con una forte riduzione delle spese sociali, privatizzazioni delle imprese statali e licenziamenti. L'apertura al mercato significò accettare le condizioni sociali imposte dalle multinazionali, svendendo le risorse naturali ed umane per far crescere le esportazioni. Si creava così un ambiente in cui la concorrenza diventava più importante di uno sviluppo sostenibile e duraturo per rispondere ai bisogni della società. Negli anni '90 il debito è cresciuto in modo esponenziale: nel 1986 il debito accumulato era di 1.100 miliardi di dollari; nel 1996 è raddoppiato: quasi 2.200 miliardi di dollari. L'aumento del debito comporta una crescita ancora più accentuata del "servizio del debito", cioè della quota di interessi maturata sul capitale: mentre gli interessi ammontavano a 92 miliardi di dollari nel 1990, nel 1996 la cifra ha superato i 240 miliardi di dollari.

Il trasferimento netto di capitali è a forte sfavore per i PVS, cioè tornano al Nord più soldi di quelli che vengono dati a paesi ridotti in miseria: nel 1997 il sistema finanziario internazionale ha incassato 272 miliardi di dollari. Per ogni dollaro di aiuti ricevuti dai paesi ricchi (i 24 paesi membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, OCSE) tre dollari vengono restituiti dai paesi poveri per il capitale e per gli interessi. Ogni bambino che nasce nel Sud del pianeta deve già 360 dollari a FMI, BM, governi e banche del Nord. La responsabilità di questo disastro è facilmente intuibile: da una parte un sistema finanziario che non vede il medio e lungo periodo; dall'altra quanti hanno erogato quei prestiti e quanti li hanno ricevuti, per opere inutili, per alimentare la corruzione, per incrementare il commercio delle armi.

I protagonisti si muovono su diversi scenari e le trattative per la negoziazione di pagamenti, posticipi, riduzione, sono un'attività permanente per molti funzionari, per i diversi tipi di debito che sono stati contratti. I debiti bilaterali, concessi da un governo ad un altro, sono trattati annualmente da un "cartello" di creditori, il Club di Parigi, che detiene metà del debito estero globale. Ci sono poi i debiti commerciali, dove singole banche negoziano con privati o governi nei paesi debitori, assieme ai garanti di questi prestiti. Anche i creditori commerciali privati - cioè le banche del Nord - sono collegati al Club di Parigi, visto che tanti crediti privati finanziano le esportazioni e sono garantiti da agenzie statali che subentrano nel debito in caso di mancanza di pagamento. Infine i debiti multilaterali, quelli che vanno saldati per primi, perché BM e FMI hanno lo status di creditori privilegiati. La BM ha lanciato nel 1996 l'iniziativa HIPC (Highly Indebted Poor Countries), per i paesi poveri gravemente indebitati, che prevede la cancellazione di una quota alta, fino al 90% del debito, che deve essere investita in programmi di utilità sociale. Su quest'ultimo palcoscenico vediamo una qualificata presenza delle ONG del Nord che, in collaborazione con quelle del Sud, analizzano le misure applicate e le loro conseguenze, propongono ai governi soluzioni e alternative, fanno pressione politica perché siano adottate soluzioni sostenibili a beneficio di quella parte della popolazione che non è chiamata in causa o non può far sentire la propria voce. L'iniziativa HIPC è sotto esame e viene puntualmente criticata e valutata, chiedendo di rendere più facili le condizioni di accesso per i paesi, più trasparenti e democratici i processi decisionali e di controllo. In occasione del Giubileo del 2000 un ampio cartello di organizzazioni della società civile, laica e religiosa - riunite sotto le bandiere di Jubilee 2000 - ha fatto sentire la propria voce, assieme a quella del Papa e di autorevoli studiosi, per chiedere soluzioni urgenti e radicali. Il referente italiano è la campagna Sdebitarsi. Per un millennio senza debiti.

Le richieste fondamentali sono:
* Cancellazione del debito che non può essere ripagato, e cioè: il debito i cui interessi non possono essere pagati senza imporre un peso insopportabile sulle parti più povere delle popolazioni; il debito che, in termini reali, è già stato ripagato; il debito contratto a seguito di politiche e progetti concepiti in modo errato; il debito "odioso" e quello contratto da regimi repressivi;

* Subordinazione dell'annullamento del debito ad investimenti nello sviluppo umano: questa richiesta si traduce soprattutto in un rafforzamento dei "fondi bilaterali di contropartita". I fondi sono amministrati congiuntamente da rappresentanti del paese debitore, del paese creditore e delle ONG di ambedue i paesi.

* Miglioramento dell'iniziativa HIPC: l'ammissione di tutti i 40 paesi poveri ed altamente indebitati nel processo di negoziazione; un periodo più breve di attuazione dei piani di ristrutturazione economica e la cancellazione dell'intero debito. I negoziati devono coinvolgere le ONG dei paesi interessati, per garantire la trasparenza e la sostenibilità sociale dei piani di risanamento finanziario e per impedire che il debito si accumuli di nuovo.

* Creazione di un arbitrato internazionale, che sia esterno alle parti e sia in grado di valutare la sostenibilità del debito e le condizioni di pagamento per i debiti attuali e per quelli che verranno contratti successivamente.