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Dizionario della Globalizzazione

Bisogno: è uno stato di insoddisfazione dell'uomo dipendente da sue esigenze corporali e/o spirituali, individuali e/o collettive. Accanto ai bisogni primari (nutrirsi, ripararsi dalle intemperie ) esistono anche dei bisogni secondari (o di civiltà) che si presentano e si sviluppano man mano che l'uomo avanza sulla strada del progresso sociale e civile (cultura, istruzione, viaggi, sport, comfort, etc.) Possiamo inoltre distinguere fra bisogni individuali (ad esempio rinnovare il guardaroba), collettivi (ad esempio il fatto che un condominio abbia una adeguata illuminazione) e pubblici (ad esempio sanità, trasporti, mantenimento dell'ordine pubblico).

Capitale: nel linguaggio comune, è un termine che indica il patrimonio di un individuo o di un'azienda sotto il profilo sia finanziario sia reale. Nella pratica medievale mercantile designava una somma di denaro produttrice di interesse, cioè il credito "principale" o "capitale" (dal radicale latino "caput"), in quanto distinto dal credito derivato rappresentato dall'interesse. Il capitale è costituito dai beni utilizzati non per soddisfare immediatamente dei bisogni ma per essere impiegati nella produzione di altri beni. I beni capitali soddisfano infatti in maniera indiretta i bisogni dell'uomo permettendo la produzione di altri beni e contribuendo al soddisfacimento di bisogni futuri. La formazione del capitale si ha secondo questa sequenza: produzione, distribuzione di reddito, risparmio (astensione dal consumo), capitale . L'impiego del capitale dà luogo ad investimento produttivo: i beni prodotti per essere impiegati nel ciclo produttivo sono detti beni di investimento, cosa che rende possibile l'incremento della base produttiva.

Capitalismo: è un sistema economico e sociale che ha come presupposto presuppone la proprietà privata. In esso i mezzi di produzione appartengono a coloro che hanno investito i capitali e la distribuzione del surplus è congruente con tale fisionomia. L'apparizione di un sistema economico definibile come capitalismo è associata all' affermazione del ruolo determinante del capitale, intendendo con esso l' insieme dei mezzi materiali necessari a gettare le basi di un processo sostenuto e continuo di espansione produttiva caratterizzato dall'impiego di capitale fisso (macchinari ed impianti) disponibili in forma concentrata nelle mani di singoli operatori. Il capitalismo ha la sua prima attuazione in Inghilterra (seconda metà del secolo XVIII) e una piena espansione sempre in Inghilterra , modello classico di capitalismo , nella prima metà dell'Ottocento. Si parla per tale epoca di capitalismo liberistico/imprenditoriale, cui subentrano poi forme diverse , ad esempio il capitalismo caratterizzato da oligopolio/monopolio con prevalenza graduale del capitale finanziario (seconda metà dell'Ottocento quando capitalismo e colonialismo/ imperialismo si intrecciano fortemente). Il capitalismo ha convissuto e convive con forme diverse di Stato: da quello liberale a quello protezionista a quello keynesiano-interventista a quello neoliberista.

Etica: (dal greco ETHOS = costume). A partire dalla filosofia greca si inizia a riflettere in modo preciso riguardo la morale, la giustizia e la rettitudine; la vera scienza filosofica della morale viene fondata da Socrate che indaga intorno al concetto di "essenza del bene" e di "virtù" intesa come unico mezzo per perseguire la felicità. Nasce con lui il razionalismo etico, per cui chi conosce il bene fa il bene. Tale concetto sta al centro della successiva speculazione platonica di Repubblica dove l’idea di bene, l’oggetto di conoscenza ontologicamente più alto e conseguibile tramite il Nous, compete ai filosofi-reggitori dello Stato i quali rendono appunto così possibile uno stato giusto (Etica universalistica assolutistica).

Aristotele, in polemica con Platone, ritiene che l’etica non possa invece essere rigorosamente dedotta da principi ideali (ambito del necessario), ma che essa debba essere inserita nell’ambito del possibile: proprio Aristotele introduce il termine "etica" per indicare una speciale classe di virtù. Secondo lui gli uomini hanno come scopo la felicità: ma quando sono veramente felici? La vera differenza dell’uomo rispetto agli animali è la razionalità e perciò la felicità dell’uomo dovrebbe essere una vita razionale. Tuttavia, poiché l’uomo è anche anima sensitiva e vegetativa, occorre una virtù etica che sottometta tali due anime alla ragione e faccia scegliere il "giusto mezzo", scelta non facile e che va continuamente ripetuta perché diventi abitudine (Etica universalistica non assolutistica). Successivamente i seguaci di Aristotele designano con il nome di "opere etiche" appunto gli scritti del maestro riguardanti questioni di comportamento morale. Più tardi Cicerone traduce il termine "etico" con "moralis" e ancora dopo, in Seneca, si può trovare la "philosophia moralis" (dal latino MOS = costume). Secondo il pensiero cristiano, in cui sono riconoscibili una via volontaristica (la legge morale coincide con il pensiero divino per come esso si esprime nel testo sacro) e intellettualistica (la legge naturale è concepita come la parte dell’ordine divino presente nella ragione dell’uomo) fondamentale diventa il rapporto fra etica/ interessi umani da una parte e Dio/ salvezza dall’altra.

Kant riprende con energia la tematica dell’etica nella "Critica della ragion pratica" in cui l’azione morale è veramente tale se corrisponde all’ "imperativo categorico" che è universale, è la "stella polare" del mondo morale e si identifica con dovere assoluto. L’autentica moralità consiste non nel raggiungimento del fine, ma nella "volontà buona", nella conformità di essa alla legge, cioè all’ imperativo categorico dettato dalla ragione (autonomia della legge morale) e caratterizzato da formalità: la legge comanda infatti non di compiere questa o quella azione, ma di conformare la volontà al comando. La formula è allora "Opera in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere come principio di una legislazione universale". Ma poiché questo comando implica l’esistenza di altri soggetti morali, bisogna porre tutti gli uomini su uno stesso piano e "agire in modo da trattare l’umanità, nella mia come nell’altrui persona, sempre come fine e mai come mezzo". Quindi l’etica diventa il settore della filosofia che si propone di studiare i costumi e i comportamenti dell’uomo in relazione al loro valore etico/morale. Di conseguenza l’etica indica le regole del corretto modo di agire perseguendo il bene come fine ultimo: non scienza dei costumi per come si presentano di fatto, ma per come dovrebbero essere.

Etnocentrismo: indica la convinzione da parte di un gruppo di possedere una cultura superiore a quella di ogni altro gruppo; tale sentimento di superiorità porta ad assumere la propria cultura come parametro per giudicare le altre. Questo atteggiamento è servito in larga misura a razionalizzare la politica di espansione imperialistica e coloniale delle potenze europee specie nella seconda metà dell'Ottocento quando esse hanno deciso di conquistare mercati che soddisfacessero il loro bisogno di materie prime e potessero, contemporaneamente, funzionare da smaltimento per i prodotti industriali europei. L'etnocentrismo si è culturalmente anche intrecciato a teorie di tipo darwinistico ed ha trovato le sue forme più esasperate nel razzismo dei secoli XIX e XX. Una vivace reazione contro l' etnocentrismo è stata prodotta dalla scuola del relativismo culturale (M. Herskovits e R. Benedict ). Questa scuola tende a mettere in luce il significato intrinseco e incomparabile di ogni cultura, che possiede un valore in sé e può essere giudicata solo in base alle proprie categorie: questa scuola sostiene che ogni valore, ogni norma, ogni manifestazione di un bisogno e tutti i comportamenti che ne seguono, debbono e possono venire giudicati esclusivamente nel contesto di una società e della cultura entro la quale sono sorti e sono inseriti.

Gattung ritrovabile nella tradizione filosofica sia idealistica che non (cfr. ad es. G.F.W.Hegel e L. Feuerbach) si intende l’uomo come ente generico, astratto, o puramente speculativo o comunque, anche quando esso non sia solo pura spiritualità ma anche materialità, visto sempre quale "genere umano". Contro tale concetto polemizza K. Marx il quale valorizzando la realtà economico-sociale approda al concetto di uomo come "essere socialmente determinato". L’aspetto della realtà è ben presente anche nel concetto di Uomo situato, l’essere, cioè, la cui natura è storicamente e/o socialmente pregnante (qui il riferimento è al marxismo) ed è riconducibile all’insieme dei rapporti (naturali, sociali, economici, quali che siano)da lui instaurati con gli altri uomini, quindi alle comunità in cui egli è inserito ed esplica la sua personalità.

Giustizia: è un concetto difficilmente riconducile ad un unico significato ma, generalmente, viene inteso in due sensi principali

come rispetto di una norma stabilita (che può essere una regola religiosa, una legge naturale o scritta);

una norma assoluta e imprescindibile che diviene l’ideale a cui la legge di uno stato si deve avvicinare, tentando di realizzarlo.

Per il primo significato si può citare Aristotele per il quale tutto ciò che è conforme a giustizia è in qualche modo giusto (giustizia generale) nell’ambito della quale occorre distinguere una giustizia correttiva o commutativa ( reciprocità/scambio di pari valori come avviene nei contratti o nelle sentenze emanate da un giudice che con l’assegnazione delle pene rettifica situazioni squilibrate) e distributiva ( si assegnano premi e punizioni in proporzione ai meriti e demeriti). Nell’ottica aristotelica il concetto di giustizia è formale-giuridico. Per il secondo significato basti pensare a Platone: secondo lui vi è giustizia nel momento in cui, essendo presenti nell’uomo le tre virtù fondamentali (sapienza, fortezza, temperanza), all’interno dello stato le tre classi (dei governanti, dei soldati, dei produttori) risultano armonicamente attive. Il fine ultimo dello stato giusto è quello per cui insomma ognuno accetta la propria condizione e svolge il ruolo che gli compete. E’evidente come in quest’ottica il concetto di giustizia sia prescrittivo

Altri esempi per il primo caso: T.Hobbes il quale ritiene che prima della formazione dello stato non ci sia problema di giustizia e che esso si ponga solo con la presenza di un potere costituito che costringa gli uomini a ottemperare ai patti mediante il terrore derivante da qualche punizione più grande dei benefici che potrebbero aspettarsi dalla rottura dei patti stessi. Su tale posizione è ai nostri giorni Hans Kelsen (1881-1973). Altri esempi per il secondo caso: J.Rawls, filosofo americano, per il quale se gli uomini potessero decidere sotto il velo dell’ignoranza, e cioè prescindendo dal loro posto reale in una società, sicuramente potrebbero accordarsi su due principi fondamentali: la libertà come valore non negoziabile e il fatto che le diseguaglianze sono lecite solo se favoriscono i gruppi più svantaggiati.

Globalizzazione: con il termine globalizzazione si indica un fenomeno di progressivo allargamento della sfera delle relazioni sociali sino ad un punto che potenzialmente arriva a coincidere con l'intero pianeta. Da questo punto di vista la globalizzazione delle relazioni economiche e finanziarie e la globalizzazione delle comunicazioni (compresa l'informatizzazione del pianeta) rappresenterebbero due chiare esemplificazioni dell'idea più generale di globalizzazione. Interrelazione globale significa anche interdipendenza globale, per cui sostanziali modifiche che avvengono in una parte del pianeta avranno, in virtù di questa interdipendenza, ripercussioni (di vario segno) anche in un altro angolo del pianeta stesso, in tempi relativamente brevi.

Glocalizzazione: la parola Glocalization, risultato delle parole inglesi globalization e localization, si riferisce al fenomeno acutamente analizzato da Roland Robertson, professore di Sociologia all’Università scozzese di Aberdeen: secondo lui la dimensione locale e globale non si escludono, anzi la globalizzazione ha un senso se viene colta nei fatti locali e se i fatti locali, lungi dall’essere visti come puro effetto della globalizzazione ne rappresentano una contestualizzazione specifica. Alla base di ciò sta la così detta cultural theory secondo la quale elementi anche contraddittori rimandano dialetticamente l’uno all’altro per cui esiste un vero e proprio flusso fra universalismo e particolarismo. Robertston dice che la localizzazione è una globalizzazione che si autolimita adattandosi al locale, invece di ignorarlo e schiacciarlo. D’altra parte, a suo parere, è stata proprio la contestazione alla spinta globale che ha prodotto dappertutto l’attenzione al locale e, viceversa, protestare contro la globalizzazione produce più globalizzazione, per cui la gente ha capito che portare avanti le istanze del locale significa comunicare con le nuove tecnologie, muoversi e spostarsi da una parte all’altra del mondo. Proprio perciò, sempre a parere di R., il dibattito non può essere centrato né sull’orientalismo né sull’occidentalismo ma sui legami e interconnessioni fra occidente e oriente: oggi c’è dunque la possibilità di "decostruire" quello che ideologicamente è stato costruito lungo i secoli come se fosse un blocco omogeneo contrapposto ad un altro.

Governo globale: leggi ed istituzioni per dirigere e regolare le azioni o i processi di importazione globale; oggetto di sforzi per la riforma internazionale con lo scopo di perseguire il modello di istituzioni democratiche transnazionali e controllare in questo modo l’ attività economica. Attualmente c'è una carenza di governo globale se con tale termine ci si riferisce a organismi sovrannazionali; d’altra parte, specie dopo l'11 settembre 2001, è tornata in primo piano la politica di singoli stati forti che dominano la scena mondiale.

Homo oeconomicus: emerge dalla teoria liberistica di Adam Smith come soggetto economico "ideale", che è caratterizzato, in un’ottica esclusivamente di mercato, da razionalità di esecuzione, comportamento ottimizzante, naturale "simpatia" nei confronti dei suoi simili in modo che, perseguendo il suo interesse, in realtà,agisce in modo positivo per la società intera, come se essa fosse guidata da una mano armonizzatrice invisibile; è l’uomo portatore di bisogni che, per essere soddisfatti, necessitano del lavoro, e da tutto ciò si genera un processo caratterizzato da divisione del lavoro, accumulazione di ricchezza e formazione delle classi. Il termine è valso perciò ad indicare oltre A.Smith in generale l’uomo della moderna società borghese, il soggetto economico astratto, che è connotato o non connotato da un possedimento materiale, la proprietà privata, e che conta, in definitiva, se ha credito, se produce, se sta su un mercato in cui il lavoro stesso è merce e come tale comprato-venduto.

Imperialismo culturale: Forma di egemonia culturale che permette ad alcuni stati di imporre una visione del mondo, dei valori, e modi di vivere ad altri. Termine usato in genere dai critici dell'influenza americana sul mondo per descrivere come gli Stati Uniti dominano altri paesi, per esempio disseminando l'ideologia del consumismo, spargendo l'edonismo nella cultura popolare, o un particolare modello di democrazia o di libero mercato.

Imprese multinazionali. Il fenomeno delle imprese multinazionali comincia a nascere dopo la conclusione della seconda guerra mondiale anche a seguito degli investimenti notevoli degli USA nella ricostruzione europea e dell'internazionalizzazione del commercio. Tale fenomeno acquista però soprattutto negli ultimi dieci anni una dimensione eclatante. Le multinazionali sono imprese oligopolistiche caratterizzate da grandi dimensioni: esse operano non solo all'interno del paese di origine sia per quanto riguarda le vendite, gli investimenti, il credito e l'utilizzo della mano d'opera ma potenzialmente ovunque. Le multinazionali, inoltre, non rappresentano la pura estensione di imprese già grandi ma sono nuove istituzioni a carattere economico e con notevoli riflessi sulla politica che hanno cambiato i modi di produzione preesistenti. Alla base del successo di tali imprese sta la così detta flessibilità e cioè
- riduzione del costo del lavoro ottenuta tramite la delocalizazione del lavoro dove esso costa meno
- riduzione del costo dei trasporti mediante l'installazione dell'azienda vicina al luogo di produzione delle materie prime o nel luogo in cui i prodotti vengono acquistati.
- richiesta e ottenimento di sgravi fiscali da parte degli stati che sperano generalmente in una funzione trainante delle multinazionali
- influenza sulle politiche dello stato ospitante perché rimangano stabili le condizioni sociali che possono assicurare il successo all'impresa
-spostamento al di fuori dello stato di origine delle lavorazioni inquinanti per l'alto costo che esse implicano e conseguente ricerca di territori- rappresentati in genere dai paesi poveri- che non si possono permettere legislazioni rigorose dal punto di vista ecologico

Il comportamento delle multinazionali nell'introduzione di nuovi prodotti sul mercato e nello spostamento in altre parti del mondo della produzione è caratterizzata in genere dalle seguenti fasi:
1. fase: il prodotto che necessita in genere di alta tecnologia viene lanciato sul mercato del paese sviluppato (first comer) nel quale è stato ideato . Il prodotto a causa del suo alto prezzo iniziale viene venduto ad un pubblico limitato ma rapidamente i costi di produzione vengono abbattuti grazie ad ulteriori aggiustamenti
2. fase: produzione di massa- Il prodotto oramai completamente assorbito dal mercato interno viene esportato all'estero dove è possibile ottenere anche prezzi più alti sfruttando il fattore novità
3. fase: è quella della maturità. Il mercato interno è completamente saturato e necessita di altri prodotti. L'impresa decide perciò di trasferire anche la produzione all'estero dove invece il prodotto è sempre richiesto e dove può fruire di un minor costo della forza lavoro
4. fase: può succedere che il paese di origine del prodotto diventi a sua volta importatore di esso da parte di paesi terzi dove il prodotto viene a costare meno. Nota: L'oligopolio è una forma particolare di concorrenza imperfetta nella quale il mercato è dominato da poche grandi imprese. Ciascuna di esse può influire sul mercato perché copre una quota importante dell'offerta. Tale tipo di mercato è quello che caratterizza l'attuale sistema capitalistico.

Mercato: è il luogo in cui avviene l'incontro fra la domanda e l'offerta dei beni e dei fattori di produzione.Quando la domanda e l'offerta si incontrano si formano i prezzi sia dei beni (merci) che dei fattori della produzione (diventati anch'essi merci ) e si stabiliscono le quantità scambiate. In economia con il termine mercato ci si riferisce esclusivamente ad un luogo astratto, ideale . Il capitalismo è un sistema di mercati. Poiché il prezzo è il risultato dell'agire della domanda e dell'offerta, esso viene ad essere l'indicatore più efficace di quanto sta avvenendo in ogni mercato e poiché gli scambi devono essere attuabili in maniera rapida e pratica, la moneta diventa essenziale in quanto per mezzo di essa si misurano i valori delle merci che devono rapidamente circolare. Si può inoltre parlare di mercati RIONALI, CITTADINI, REGIONALI, NAZIONALI, INTERNAZIONALI, oppure di mercato al MINUTO o all'INGROSSO.

Merce: è merce ciò che è atto a soddisfare un bisogno e che può essere scambiato con qualcosa di equivalente (altra merce o denaro o "rappresentazione" del denaro stesso). Nella produzione capitalistica ogni merce ha un duplice carattere : valore d'uso e valore di scambio. Il valore di scambio presuppone sempre un qualche valore d'uso. Mentre nelle società precapitalistiche possiamo parlare di una fisionomia riconducibile a M-D-M , per la società capitalistica parliamo invece di D-M-dD, cioè di una fisionomia in cui prevale lo scopo del profitto rispetto alla soddisfazione del bisogno.

Modernizzazione: I significati della parola possono essere vari ma, riferiti al contesto della globalizzazione, si identificano con la storia europea ed occidentale dopo la scoperta dell'America, la rivoluzione scientifica, la progressiva autonomizzazione della scienza e della tecnica, le rivoluzioni industriali (tutte, per arrivare alla rivoluzione post-industriale dell'informatica), le comunicazioni sempre più veloci e la prevalenza di una cultura (quella occidentale, intrecciata al modello capitalistico nelle sue varie metamorfosi storiche) rispetto alle altre.

Moltitudine: Il termine moltitudine, che  è al centro del dibattito attuale di filosofia politica,  ha in Spinoza un padre illustre. In Spinoza moltitudine significa una vera e propria pluralità che persiste positivamente in tutta una serie di azioni e affetti senza ridursi mai ad un Uno ed è perciò una struttura portante delle libertà civili. Opinione del tutto opposta  è ritrovabile invece in  T.Hobbes  che  riporta il concetto di moltitudine allo stato di natura,  a prima cioè dello stato politico, quando vigeva l’ homo homini lupus (uomo lupo, cioè belva, per l’altro uomo) e vi erano i molti, mentre dopo la fondazione dello stato (che assicura l’esistenza a tutti quelli che si legano con un pactum unionis che è anche pactum subjectionis) vi è un popolo, cioè un  uno. Eco di tale opposizione moltitudine-popolo ( storicamente ha avuto la meglio il termine popolo) è ritrovabile nella coppia pubblico-privato del pensiero liberale e collettivo-individuale di quello socialista. Attualmente molti filosofi ritengono opportuno recuperare il concetto di moltitudine che non si contrappone all’uno ma lo ridefinisce: nella società post-fordista  i molti vanno  pensati come individualizzazioni di un universale che è già in atto nella produzione caratterizzata da prevalenza della dimensione cognitiva  e che non è lo Stato ma il linguaggio, l’intelletto, le comuni facoltà del genere umano. L’uno, inteso in questa maniera, è la premessa, lo sfondo su cui collocare un’esperienza collettiva ed un’esperienza individuale sempre meno separabili.

Neoliberismo: variante della fine del ventesimo secolo della teoria secondo cui la competizione tra le imprese sul mercato alla presenza di uno stato limitato meglio incoraggia lo sviluppo; da tale accezione deriva l’esaltazione della libera impresa e il movimento delle merci e del capitale non frenato da tariffe e regolamenti nei liberi mercati globali; ma anche termine oggetto di critiche da parte degli oppositori dell’ideologia capitalista i quali attaccano l'espansione del mercato come valore in sé.

Nuova Divisione Internazionale del Lavoro: La disseminazione di diversi posti di fabbricazione in diverse nazioni,sfruttando le differenze nei costi di produzione e le economie di scala; più generalmente, dalla fine degli anni settanta, il processo per il quale i paesi,soprattutto quelli Asiatici, assumono dei ruoli principali in certi settori dell'industria (ad esempio catene di montaggio).

 

Onu (Organizzazione delle Nazioni Unite)

Costituita a S.Francisco (USA) il 26 giugno 1945

Promotori di essa: i paesi che avevano vinto la Seconda Guerra Mondiale

All’inizio contava 55 paesi membri (l’Italia vi è stata ammessa nel 1955

Attualmente conta quasi tutti gli stati del mondo, circa 180 

 

Obiettivi dell’ONU

Pace e sicurezza internazionale

Sviluppo economico e sociale dei popoli

Rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

 

Personalismo. Esponente esemplificativo di tale corrente è Emmanuel Mounier, francese, nato nel 1905 e morto nel 1950. Vicino all’esistenzialismo cristiano, fervente cattolico, influenzato da Danielou e Peguy, fondatore e direttore nel 1932 della rivista cattolica di avanguardia "Esprit" afferma l’incompatibilità fra l’ordine cristiano e il disordine economico, sociale e politico della società borghese. Egualmente contrario al marxismo si propone però di non opporsi frontalmente ad esso ma piuttosto di oltrepassarlo mediante la propaganda di valori comunitari e personalistici presso la classe operaia. Sostenitore di una terza forza fra liberalismo e socialismo, nella sua opera più famosa, "Rivoluzione personalista e comunitaria" del 1935, che raccoglie gli scritti più significativi comparsi su "Esprit", M. individua la persona come "inoggettivabile, incarnata e comunitaria". Tale ultima caratteristica fa assumere al personalismo del filosofo francese un carattere comunitario in opposizione all’egoismo dell’homo oeconomicus borghese moderno : quella che conta davvero è la persona che si rivela e fonda nel rapporto d’amore con l’altro. Nella teoria di M. l’esperienza religiosa non è contemplazione ma prassi, capacità di affrontare nella concretezza i compiti storico-sociali e proprio per questo egli ha avuto un potente influsso su tutti gli intellettuali che hanno ritenuto di impegnarsi nel sociale (teoria dell’engagement).

 

Postfordismo: Indica un modello sociale il cui modo di produzione non è più dominato da forme centralizzate di accumulazione e distribuzione della ricchezza (certi luoghi, e quindi certe industrie) rispetto alle quali era fondamentale la relazione fra rappresentanze dei vari interessi e la super  visione di uno Stato-nazione, ma da forme di accumulazione flessibili, capaci di integrare e mettere in rete i luoghi di produzione, i tempi, le ricchezze, anche se molto diversi fra loro. In questo sistema viene in primo piano la connessione fra sapere e produzione, tanto che si parla di società post-industriali, non perché l’industria non ci sia più ma perché l’industria e la sua dislocazione viene ad esempio a dipendere dai saperi accumulati nelle reti informatiche e dalle potenzialità di delocalizzazione che esse implicano. Allo stesso modo il lavoro viene ad assumere una dimensione di sfera pubblica in cui l’interazione fra individui è resa possibile non dalla presenza contemporanea di essi in una fabbrica ma dall’interagire complesso su basi linguistiche e affettive. Da qui l’importanza crescente della cooperazione linguistica di uomini e donne nel loro agire concreto

Relativismo culturale: Equivale in senso generale alla posizione che rifiuta ogni fondamento assoluto inteso come criterio per giudizi ed azioni e, in tale accezione, il relativismo risale alla Sofistica. Una particolare branca di Relativismo è quella evidenziatasi a seguito della scoperta dell'America : di fronte a coloro che, partendo dal parametro della cultura europea cristiana, interpretavano il diverso come selvaggio in senso negativo abbiamo la posizione di Montaigne per il quale il Relativismo diventa invece apertura al diverso. In questo caso il relativismo è l'opposto dell' etnocentrismo e viene assunto quale concetto chiave dell'antropologia del Novecento . Vale la pena di osservare come l'apertura al diverso talvolta sia stata anche interpretazione di per sé benevola del diverso, filtrato polemicamente in modo positivo versus il negativo costituito dalla società occidentale e idealmente ad essa contrapposto (esotismo, sauvagerie, mito del Paradiso perduto e ritrovato).

Sistema economico capitalistico. Nel capitalismo i fattori di produzione (capitale, terra, lavoro) appartengono a individui liberi, che ne dispongono senza alcun vincolo giuridico, e che possono scambiare quello che possiedono in modo privatizzato.
Il mercato è il luogo in cui avviene l'incontro fra domanda e offerta dei beni e dei fattori di produzione. Quando domanda e offerta si incontrano- presupponendo un mercato di concorrenza perfetta- si formano i prezzi sia dei beni ( merci) che dei fattori di produzione (diventati anch'essi merci). La cessione dei mezzi di produzione avviene in mercati appositi ( del lavoro, della terra, del capitale) : il mercato è quindi l'altra caratteristica peculiare del sistema capitalistico. Il capitalismo si configura perciò come un sistema di mercati e, poiché il prezzo è il risultato dell'agire della domanda e dell'offerta , esso è l'indicatore più efficace di quanto sta avvenendo in ogni mercato. Poiché inoltre gli scambi devono essere attuabili in maniera pratica e veloce, la moneta diventa essenziale e, dato che essa aiuta la circolazione delle merci ma può anche essere risparmiata, è resa possibile un'accumulazione di ricchezza senza che vi sia un'accumulazione concreta di merci e prodotti. L'economia capitalistica si è imposta , a partire dal Settecento e Ottocento, come sistema dominante di produzione- distribuzione-consumo.

Stato-nazione: A partire dal 1400 e, con maggiore nettezza dal 1500, nasce in Europa lo STATO MODERNO. Lo STATO -NAZIONE dell'Ottocento è, a sua volta, la forma politico-giuridico economica forse più significativa e perfezionata dello stato moderno il quale si presenta non solo come territorio, apparato burocratico-politico, popolazione, ma anche con una precisa fisionomia storica, culturale, linguistica ecc. per cui una certa nazione, rivendica/ribadisce la sua differenza rispetto ad altre e vuole costituirsi in stato. Non a caso l'Ottocento può essere definito come il secolo delle nazioni - di quelle già determinatesi e di quelle in divenire ( basti pensare alla Germania e all'Italia) . Lo stato-nazione , grazie all'unificazione del mercato interno, alla tutela di esso e alla capacità di avanzare verso altri mercati corrisponde efficacemente agli interessi della borghesia , classe in ascesa del secolo XIX e , con tutte le varianti del modello( basti pensare al nazionalismo, al razzismo, al colonialismo e all'imperialismo ) permane nella sua importanza almeno fino alla seconda guerra mondiale , il cui scoppio può anche essere connesso per certi aspetti all'esasperazione delle tematiche nazionalistiche e razzistiche della Germania di Hitler e dell'Italia di Mussolini alleate con il Giappone. Il tramonto dello stato nazione avviene a partire da secondo dopoguerra, dapprima per motivi politici, a causa del determinarsi di due blocchi contrapposti e aggregati rispettivamente intorno alle superpotenze USA e all'URSS ; successivamente, dopo la caduta del muro di Berlino del 1989, subentrano invece motivi decisamente economici e riportabili alla globalizzazione. Essa infatti smantella le frontiere degli stati, esige politiche liberistiche e neoliberistiche, reclama l'abolizione di qualsivoglia forma di intervento statuale in economia rendendo obsoleto qualsiasi tipo di Welfare-State.

Sussidiarietà. Il principio di sussidiarietà può riguardare sia il rapporto Stato-Enti decentrati sul territorio (ad esempio Comuni, Province, Regioni, e in questo caso di parla di sussidiarietà verticale) che il rapporto fra istituzioni pubbliche e società civile (e in questo caso si parla di sussidiarietà orizzontale). L’origine ideologica di tale principio, particolarmente caro alla Chiesa Cattolica, risale a S.Tommaso d’Aquino ma la formulazione classica di esso è ritrovabile nell’enciclica "Quadragesimo anno" di papa Pio XI (1931) in cui si dice che le istituzioni non devono fare quello cui i cittadini possono provvedere da soli o tramite associazioni libere e naturali, nel senso che l’individuo e le associazioni libere e naturali vengono prima dello stato e proprio perciò lo stato deve intervenire in aiuto, soccorso, "subsidium" (dal latino=aiuto) solo quando i cittadini e le loro libere associazioni si siano dimostrate inadeguate a svolgere certi compiti. La dottrina della sussidiarietà è perciò abbastanza compatibile con le teorie neoliliberistiche da cui peraltro diverge perché valorizza le formazioni sociali (mentre il liberismo esalta l’individuo) e perché non respinge sempre e comunque l’idea dell’intervento statuale. Più latamente, nel contesto italiano attuale, il principio di sussidiarietà denota il superamento dello stato nazionale accentrato e in quanto tale è stato recepito dalle recenti modifiche del Titolo V della Costituzione italiana (Legge costituzionale n.3 del 2001). Sempre con riferimento al dibattito italiano attuale occorre aggiungere infine come molti temano che la così detta sussidiarietà orizzontale si riveli un semplice e pericoloso trasferimento di funzioni esercitate dal pubblico, come la scuola e la sanità, ai privati. In Europa tale principio è stato ribadito dall’art. 43 della Carta europea delle autonomie locali sottoscritta a Strasburgo nell’85, ripreso con Maastricht e applicato agli organismi comunitari di cui si dice che possono intervenire in "subsidum" solo quando sia stata appurata la non adeguatezza degli stati membri a realizzare un determinato obiettivo.

Tolleranza: è un termine che designa un atteggiamento disposto a riconoscere legittimità alle idee ed ai comportamenti altrui, altresì definita come dottrina filosofico - politica che ammette la libera manifestazione di tutte le confessioni religiose e delle relative forme di culto. Il concetto moderno di tolleranza, il cui cammino è estremamente accidentato, nasce da molteplici cause e, fra esse, l' ampliarsi delle conoscenze extra europee conseguente alle crociate e alle scoperte geografiche del 1400-1500 e le guerre di religione ma ha trovato pieno riconoscimento solo con l'Illuminismo quando Tolleranza comincia a significare non solo il rispetto di fedi diverse ma, più in generale, rispetto di idee diverse e diversi punti di vista. Vale la pena di osservare come l'etimo della parola sia carico di ambiguità e implichi il riferimento al latino tolus (peso) tanto che in latino il verbo corrispondente è tipico della sopportazione della fame, del freddo, degli oneri fiscali. Quindi il tollerare si collega, come etimo, ad un qualcosa che viene ritenuto non positivo e che però viene sopportato per necessità convenienza, ecc. Solo con la piena accettazione della Tolleranza e la sua acquisizione di dignità filosofica derivante soprattutto dall'Illuminismo si è registrato un ri-orientamento semantico del termine: la tolleranza è sempre meno degnazione e sempre più obbligo corrispondente ad un diritto.

Welfare State. E' una fisionomia di Stato impensabile prima delle lotte del Novecento e prima della grande crisi economica del 1929. La nuova fisionomia che assume lo Stato costituisce una sorta di risposta occidentale al modello sovietico e alla sua pianificazione Si può perciò parlare, in un certo senso, di capitalismo democratico versus socialismo reale.

Premesse teoriche (cfr. J.M. Keynes)
Lo Stato interviene in economia e tende a governare , mediante un'economia mista, il ciclo economico al fine di assicurare un certo livello di occupazione. Secondo Keynes il livello dell'occupazione è infatti determinato dalla somma degli investimenti e dei consumi (domanda aggregata). Gli effetti benefici dell'aumento della domanda di beni sono più che proporzionali e sono caratterizzati da MOLTIPLICAZIONE E ACCELERAZIONE. L'economia lasciata a se stessa non ha queste capacità : da qui la necessità di un intervento statale

Questo tipo di Stato si propone di assicurare a tutti i cittadini il soddisfacimento di bisogni primari quali l'occupazione, la casa , l'assistenza sanitaria e l'istruzione Conseguenza: creazione di sistemi di sicurezza sociale per garantire solide basi di assistenza e previdenza , aumento dell'intervento statuale in ambito culturale-scolastico. Lo Stato cerca di ridurre le disuguaglianze derivanti non dalle diverse capacità ma dalla nascita e dalla posizione sociale delle persone , differenze su cui le persone possono avere un controllo minimo. Delle parole con cui si designa tale Stato quella francese è la più pregnante perché essa esprime l'idea che il fato e il destino possono essere modificati dallo Stato democratico e sociale che impersona valori umani e collettivi. Esempi di disuguaglianze : sociali, nei vantaggi che si ricavano dai servizi pubblici , ad esempio l'istruzione, la cultura, la sicurezza, il crimine. Talvolta disuguaglianze economiche e sociali si combinano con disuguaglianze nell'accesso alla casa, alla salute, all'informazione, all'esercizio di cittadinanza , fra i sessi. La prevenzione delle disuguaglianze può essere attuate a monte (prima che si accumulino) o a valle (distribuendo reddito). Delle parole con cui si designa tale Stato, quella francese è la più pregnante perché essa esprime l'idea che il fato e il destino possono essere modificati dallo Stato democratico e sociale il quale impersona valori umani e collettivi finalizzati a modificare le disuguaglianze sociali anche tramite i vantaggi che si ricavano dai servizi pubblici , ad esempio l'istruzione, la cultura, la sicurezza contro il crimine.