Il termine popolazione ha subito un profondo mutamento del proprio significato nel corso della storia, fino ad arrivare ai nostri giorni, in cui questa parola evoca un'immagine di esplosione demografica. Tanto che oggi il suo sinonimo sembra essere quello di "sovrappopolazione". Agli inizi del XX secolo non aveva tale significato, ma veniva usato in qualità di semplice sostantivo verbale, anche se già nel 1798 Malthus iniziava ad utilizzarlo in chiave tecnica, affermando che "la popolazione aumenta a tasso geometrico, mentre i mezzi di sussistenza a tasso aritmetico". Con l'aumento della popolazione, la disponibilità di cibo non sarebbe aumentata proporzionalmente. "Il genere umano ha un potenziale di crescita infinitamente superiore rispetto alle capacità della Terra di produrre i mezzi di sussistenza", sosteneva Malthus. Nelle previsioni dell'ONU invece, le risorse alimentari continueranno ad aumentare più rapidamente della popolazione, almeno fino al 2010. L'esplosione demografica della seconda metà del secolo ha fatto aumentare la domanda di generi alimentari, ma l'offerta ha sempre superato la domanda, tanto che il prezzo degli alimenti è crollato. Per esempio, il prezzo del frumento è sceso del 61%. Allora perché ci sono ancora centinaia di milioni di persone che soffrono di malnutrizione e non possono contare sul fabbisogno minimo giornaliero di 2200 calorie? D'altronde, finché le statistiche sull'obesità registrano livelli sempre più alti e l'attività dei dietologi va a gonfie vele, non si può sostenere che la Terra non riesca a sfamare tutti per mancanza di risorse. Il problema non è infatti nella produzione, bensì nella distribuzione. Che a zone fertili del pianeta si contrappongano zone desertificate in espansione è un dato di fatto. Ma che dire allora dei giapponesi che, pur non avendo terra a sufficienza da coltivare, sono comunque tra i popoli meglio nutriti? E' la disparità tra paesi ricchi e paesi poveri il fattore chiave della cattiva distribuzione. E' stato scoperto che il mais, originario del continente americano, trova in alcune zone equatoriali dell'Africa, come in Ruanda, delle condizioni di coltivazione che permettono fino a tre raccolti l'anno. Solo che i contadini africani non possono acquistare le sementi migliori, né i fertilizzanti e tantomeno le macchine ad alta tecnologia; per non parlare del ruolo fondamentale che gioca, in questo caso, la garanzia di stabilità politica, in questa zona dell'Africa spesso sconvolta da conflitti interni. Così nella statistiche della FAO, la situazione alimentare dell'Africa subsahariana peggiora di anno in anno.
Tornando all'evoluzione del termine popolazione, dopo le teorie malthusiane, si arriva al 1800, in cui si ha l'entrata di scena di una nuova scienza: la demografia. Con questa si ha il passaggio dalle persone alle popolazioni, e quindi la perdita del legame con la gente in carne ed ossa. Alle popolazioni vengono attribuite modalità di comportamento, espresse in termini di variabili. Si passa alle formule P= popolazione, senza considerare che P ha un nome, una propria vita e una propria storia. P comprende bambini che giocano, anziani malati, donne incinte. Tuttavia, P viene distinta in classi che nascono, muoiono, si riproducono, producono, consumano, inquinano e vanno controllate. Si apre così un nuovo capito che è quello del "controllo delle nascite". Durante gli anni '70, questa espressione fa la sua entrata nei discorsi dei politici, anche se la popolazione è ancora un fattore esterno alle politiche di sviluppo. Solo in un secondo periodo perderà questa connotazione, venendo a rivestire i panni di fattore endogeno dello sviluppo e, in molti casi, di minaccia allo sviluppo stesso. Controllo delle nascite, pianificazione familiare e problema della popolazione diventano punti fondamentali delle scelte politiche e in alcuni casi si arriva ad adottare metodi di sterilizzazione di massa. Le Conferenze mondiali sulla popolazione di Bucarest del 1974 e di Città del Messico del 1984 suscitano una vasta eco, sostenendo i diritti delle persone a regolare il proprio comportamento riproduttivo e condannando l'uso di soluzioni coercitive. Si ritiene che con il sostegno allo sviluppo culturale delle aree cosiddette in via di sviluppo si riesca ad indurre una limitazione spontanea della fecondità. Il problema demografico risulta estremamente preoccupante in quanto investe ampie aree del Sud. L'America Latina, l'Africa e l'Asia orientale, negli ultimi decenni, hanno visto raddoppiare il loro peso demografico rispetto ad un'Europa sempre più vecchia e numericamente debole, fino ad arrivare al caso italiano che registra il tasso di natalità più basso del mondo. Toccando il livello di "crescita zero", in Italia la natalità non raggiunge il valore di ricambio generazionale pari a 2,1 figli per donna. Si diffonde la paura di una rivoluzione del numero. E se questa gente a lungo colonizzata, sfruttata e oggi alla miseria si riversasse sulla sponda ricca e sempre meno popolata del Nord del mondo? Il fenomeno delle migrazioni, presente fin dai primordi dell'esistenza umana, ci insegna che l'uomo si sposta spinto dalla prospettiva di condizioni di vita migliori, di libertà, terra o pace. I motivi, invece, che lo spingono ad abbandonare la propria patria attengono spesso a condizioni di vita degradanti, repressioni, diritti negati, guerre o calamità naturali. Secondo le stime della Banca Mondiale, su circa 6 miliardi di abitanti al mondo, solo il 15% vive nei 22 paesi più ricchi, quelli cioè con un reddito medio pro capite superiore ai 25.000 dollari; il restante 85% vive per la maggior parte in paesi il cui reddito è inferiore alla media mondiale, di circa 5.000 dollari l'anno.
Nonostante le immagini di navi stracolme di immigrati ci diano l'impressione di subire un'invasione, i dati dimostrano che le cose non stanno così e che in una visione globale del fenomeno, il flusso diretto dai paesi poveri verso quelli ricchi è limitato. Basti considerare che solo circa 120 milioni di persone vivono in stati diversi da quello in cui sono nati e oltre la metà di questi si sono spostati in altri paesi in via di sviluppo che registrano un reddito medio di poco superiore a quello del paese da cui provengono. C'è anche da liberarsi dall'idea che siano necessariamente gli individui più poveri quelli più pronti a migrare. Secondo Mark J. Miller, autore di The Age of Migration, la maggior parte dei poveri del mondo non si muove affatto; solo coloro che riescono a metter da parte qualche soldo per il viaggio rischiano l'avventura della migrazione. Inoltre un ruolo fondamentale, nel contesto della popolazione, è giocato dalle donne. Sono loro che mettono al mondo i figli e dipende dalla posizione che esse occupano nella società il numero di figli procreati. Vari studi infatti hanno sottolineato la differenza esistente tra le donne dei paesi avanzati e quelle dei paesi in via di sviluppo, in materia di procreazione. Le prime fanno sicuramente meno figli delle seconde, ma vediamo quali sono le maggiori differenze sociali tra le une e le altre. Le donne del Nord hanno in genere accesso all'istruzione e al mondo lavorativo, potendo raggiungere posti manageriali alla stregua degli uomini, o quasi. Possono usufruire di strutture sanitarie adeguate e soprattutto possono decidere se avere figli o no. Gli esperti ritengono che, per far scendere i tassi di natalità, alle donne deve essere riconosciuta questa facoltà di scelta. Le donne del Sud hanno spesso un ruolo subalterno agli uomini. In alcune società africane una regola fondamentale per l'inserimento sociale femminile è il matrimonio e ancor più la maternità. Infatti la donna deve mostrare prima di tutto di essere feconda, sta in questo il suo peso sociale. Un po' per cultura, un po' per necessità, si finisce per avere una famiglia che può arrivare anche a contare 10-11 figli. La necessità è dettata dal fatto che i figli sono considerati l'unica garanzia nella vecchiaia, vista la mancanza di sistemi statali di previdenza sociale.
L'Africa conserva il primato mondiale di natalità, anche se in alcuni paesi si registra la tendenza ad una riduzione delle nascite. I fattori di questa tendenza sono stati individuati nella contraccezione, nell'assistenza sanitaria e nell'istruzione. In alcuni PVS, la percentuale di donne che fa uso di anticoncezionali ha superato il 50%, ma la contraccezione è fattore di sviluppo quando rappresenta una scelta personale ed ha un impatto sui tassi di fertilità solo dopo il crollo del pilastro centrale dell'istruzione. Lo stato deve garantire questa scelta, non obbligarla. In Cina e in India, negli ultimi anni, le nascite sono diminuite considerevolmente e il tasso di fecondità è sceso. Però le misure utilizzate non sempre riguardano libere scelte, basti considerare che in Cina la nascita di una bambina è considerata una disgrazia e le tasse che gravano sui secondi figli ne scoraggiano l'esistenza. L'assistenza sanitaria è spesso carente se non del tutto assente. Più di mezzo milione di donne muore ogni anno in seguito a gravidanze a causa di condizioni sanitarie inadeguate, mancanza di cure mediche, prima e dopo il parto, per non parlare della mortalità infantile legata a malnutrizione o a malattie oggi facilmente curabili. Secondo alcuni esperti questa situazione potrebbe risolversi innescando un ciclo "virtuoso" in cui la pianificazione familiare gioca un ruolo fondamentale: riducendo le gravidanze precoci, tardive o troppo vicine, la salute della donna migliora e i bambini sono più sani. La mortalità infantile si riduce e questo si riflette sul calo delle nascite. Questi ragionamenti scientifici sono spesso troppo semplicistici perché, considerando la popolazione =P, non tengono conto di molti altri fattori.
Se la pianificazione familiare elimina gravidanze precoci, tardive o sbagliate, verrà individuata un'età x in cui tutti dovremo avere figli, a prescindere dalle situazioni personali in cui ognuno potrà trovarsi. Ovviamente l'esempio è un paradosso che vuole solo dimostrare come si entri facilmente nella sfera privata di ciascuno. Tuttavia accettando la tesi che questo circolo virtuoso possa con il tempo realizzarsi, non si può sottovalutare l'influenza che hanno i cambiamenti culturali. Un esempio è dato dall'attività di alcune organizzazioni in Bangladesh, dove il tasso di natalità è sceso da 4,9 bambini per donna a 3,3, grazie all'aprirsi di una possibilità di riscatto dalla miseria. Ad esempio la Banca Grameen ha intrapreso un programma di microcredito rivolto alle donne che consiste nell'erogazione di piccoli prestiti. I risultati sono stati molteplici e l'iniziativa ha riscosso molto successo. Dal 1976 ad oggi la Grameen ha accordato finanziamenti equivalenti a 315.000 lire l'uno ad oltre 2,1 milioni di donne, offrendo loro la possibilità di riscatto dall'isolamento e dalla povertà e prospettando un futuro migliore per loro e per le loro famiglie. Le famiglie che hanno ricevuto un prestito dalla Banca Grameen risultano più attente alla pianificazione familiare. Il benessere della famiglia e dei figli è la prima preoccupazione di una donna, secondo uno studio condotto in Brasile. Si registrano effetti positivi sulla salute dei figli, quando la famiglia è amministrata da una donna. Le donne, messe in condizione di decidere della propria vita, scelgono anche le dimensioni della propria famiglia. Inoltre esiste un legame molto forte tra pianificazione familiare e grado di istruzione e quello delle donne è spesso molto basso, raggiungendo appena il livello di alfabetizzazione. Non si può pensare di "risolvere il problema della popolazione" con motivazioni di mancanza di risorse, di territorio, di aria. Bisogna porre l'accento su alcuni pilastri fondamentali quali la sicurezza alimentare, l'assistenza sanitaria, l'istruzione e il ruolo centrale della donna in tutto ciò.
Per l’anno 1 d.C. gli storici propongono per la popolazione mondiale la cifra di 252 milioni, raddoppiata nell’arco di tempo di ben sedici secoli. Ultimamente, per raddoppiare la popolazione mondiale ci sono voluti solo 40 anni (da 3 a 6 miliardi dal 1960 al 2000). Comunque, la tendenza in atto da almeno dieci anni è il rallentamento dell’aumento demografico, che è al 90% concentrato nel Terzo mondo.
L’incremento demografico è dovuto a due fattori:
Un’alta natalità.
Una rapida diminuzione della mortalità dovuta a migliori
condizioni sanitarie.
Gli effetti che comporta sono almeno tre:
L’aumento dell’estensione delle colture.
L’inquinamento.
La distruzione delle foreste.
La natalità è un fattore in continuo decremento nei Paesi più ricchi, mentre mantiene livelli molto alti nel Terzo mondo. Anche questi livelli stanno però diminuendo. La natalità dipende in larga parte dal modo di considerare la vita e il proprio futuro. La rendono elevata: l’alta mortalità infantile, l’influenza culturale dei matrimoni precoci e la famiglia numerosa vista come sinonimo di ricchezza e potere. L’aumento della natalità è dovuto a l’assenza di stimoli a predeterminare la dimensione della famiglia, premi e sussidi per i figli, la pubblicità diffusa per tali scopi. La sua diminuzione è legata a il ruolo familiare e sociale della donna, i problemi dell’occupazione e della casa, le campagne di sensibilizzazione sull’esplosione demografica. Le cause della sua diminuzione sono la diminuzione della mortalità infantile, l’incremento dell’istruzione e delle opportunità di lavoro per le donne, il ricorso al controllo delle nascite, l’effetto del forte calo della natalità è l’invecchiamento generale della popolazione.
La mortalità declina con ritmi diversi. Tra gli adulti (20-64 anni) si è dimezzata (1955-1995). Quella causata dalle più comuni malattie infettive cala ancora troppo lentamente. Il tasso di mortalità è inversamente correlata al tasso d’istruzione. Le cause sanitarie più comuni sono le seguenti: malattie parassitarie (33%), circolatorie (29%), cancro (12%), perinatali e neonatali (7%), respiratorie (6%), materne (1%),altre (12%). In America il 7-25% delle persone muore di morte a causa di episodi di violenza. Quasi un milione di adulti muore nel mondo ogni anno per: infortuni sul lavoro. Incidenti. Suicidi. Omicidi. Conflitti. Catastrofi naturali. Il rischio di morte è minore tra i 5 e i 19 anni di età. Quasi sempre (ma non in Asia) la differenza di sesso favorisce la donna. Le cause della caduta del tasso di mortalità sono diverse:
Il miglioramento di abitudini, condizioni dell’ambiente e del cibo.
L’aumento del benessere generale.
La diffusione di principi di igiene e di profilassi.
La prevenzione delle malattie infettive.
Farmaci (specie antibiotici) e vaccinazioni.
La scomparsa di malattie endemiche.
All’inizio del XX secolo, un decimo dell’umanità viveva nelle città; oggi è il 45%; fra 5-6 anni i cittadini saranno la maggioranza. Parallelamente, essi si concentrano in poche e sempre più grandi città (per il 45% in miseri sobborghi). Nel Terzo mondo la crescita dell’urbanizzazione, una volta tipica dei Paesi ricchi, è 5,5 volte quella nei Paesi industrializzati. Le cause dell’urbanizzazione possono essere di quattro tipi:
cause economiche
industrializzazione, con le sue economie di scala, che richiedono grandi
stabilimenti e il progresso tecnico;
degrado dell’ambiente rurale: pressione demografica, carenza di energia, perdita
di lavoro e di prodotti;
modernizzazione della produzione agricola non orientata all’autosufficienza
alimentare;
aumento dei senza terra, siccità e altre calamità;
necessità per l’individuo di ottenere denaro per sposarsi, pagare le tasse e
acquistare beni di consumo;
possibilità di avere un’abitazione decente;
disponibilità di cibo a buon mercato e di altri prodotti (birra, cosmetici,
radio, motorette);
maggiore possibilità di redditi, sicurezza, benessere, lavoro;
cause sociali
liberazione da tradizioni (es. l’autorità degli anziani) e da tensioni (es.
conflitto per l’accesso al matrimonio);
offerta di nuovi servizi moderni pubblici (formazione, istruzione, sanità) e
privati (parrucchieri, meccanici);
dinamismo sociale;
cause culturali
speranza di una vita più diversificata, prestigiosa, facile e piacevole, i cui
aspetti insopportabili siano addolciti dal tempo libero e dalle distrazioni;
orizzonte ristretto del villaggio e della famiglia;
sirena del mito urbano con le sue novità, luci, vetrine e modelli occidentali
(capelli, occhiali, panciotti, valigette, corteggiamento);
cause politiche
fuga dalle costrizioni amministrative;
insicurezza delle zone rurali, a causa di ribellioni e repressioni.
Mentre l’economia rurale e la prima urbanizzazione avevano avuto effetti trascurabili sull’ambiente, il fenomeno più vistoso dell’attuale urbanizzazione è la degradazione di quest’ultimo, che è al tempo stesso causa e conseguenza del fenomeno dell’urbanizzazione. Il degrado ambientale si può verificare in mille modalità: dalla distruzione rapidissima delle foreste, al peggioramento della qualità della vita relativa all’acqua potabile (diminuzione della qualità e abbassamento delle falde), allo smaltimento dei rifiuti (fogne e nettezza urbana), ai trasporti, alle strade, ad abitazioni decenti, alla luce e a un’insalubrità che sfida ogni norma igienica. L’accelerazione dell’urbanizzazione, sommandosi ai già gravissimi problemi ambientali, rischia di provocare crisi sociali incontrollabili: occupazione di aree non idonee contigue alla città preesistente; miseria delle periferie urbane, anche se, di norma, le condizioni del cittadino povero rimangono sempre migliori di quelle del povero rurale; sottosviluppo delle campagne; perdita di terre agricole non compensata dai raccolti migliori: di qui una minore produzione alimentare, che comporta importazione di cereali o fame; aumento dei bisogni di attrezzature annonarie e di circuiti di conservazione e distribuzione del cibo; con le sue concentrazioni industriali, l’urbanizzazione può obbligare a investimenti costosi e assurdi (prelevare l’acqua lontano dalla città, se l’inquinamento locale dovuto allo scarico dei rifiuti impedisce altre forme di approvvigionamento); i problemi igienici accelerano la domanda di acqua e di strutture idro-sanitarie, causando difficoltà di approvvigionamento idrico; i problemi della disoccupazione sono in vertiginoso aumento, anche a causa dei programmi del I.M.F. (Fondo monetario internazionale), che hanno tagliato l’impiego pubblico; le nuove occasioni di spendere hanno favorito la delinquenza; L’occidentalizzazione dei consumi, una delle cause e insieme uno degli effetti dei fenomeni di urbanizzazione può influire seriamente; d’altra parte, quando essa minaccia i livelli di vita e i valori morali tradizionali, i problemi d’identità possono provocano un ritorno alla fede religiosa; è da osservare che il lavoro urbano ha fornito alla gente uno stile di vita più sicuro e come risultato ha fatto diminuire il numero dei figli. Le previsioni per cui le città del Terzo mondo sarebbero esplose si sono rivelate errate: le cifre sono pari a poco più della metà del previsto.
Anche se l’urbanizzazione è inarrestabile, la mancanza di un mercato degli alloggi, come in Cina, l’ha rallentata. Talora invece dell’esodo rurale si assiste all’esodo urbano: può essere imposto da governi tecnocratici o da dittature o si verifica dopo alcune eccellenti stagioni delle piogge con relativi buoni raccolti. I Paesi stanno diventando culturalmente omogenei, sotto la spinta della liberalizzazione, della globalizzazione e dell’urbanizzazione. La cultura urbano-consumistica ha suoi modelli di comportamento, secondo cui è disdicevole attaccarsi alle cose e ai luoghi, ci si vanta di gettare le cose vecchie e si fa ricorso a cose inutili. La rottura con i modelli tradizionali di alimentazione non è mai però radicale. L’aumento dell’importazione di cibo sembra dovuta alla crescita dell’urbanizzazione, più che all’evoluzione dei comportamenti dei consumatori.