La Dichiarazione di Bali del Movimento dei non-allineati (1994) definisce la sicurezza alimentare come “l'accesso al cibo per una vita sana da parte di tutte le popolazioni in ogni momento”. Questa dichiarazione riconosce implicitamente che, a dispetto di una sostanziale crescita nella produzione alimentare mondiale, il numero di persone malnutrite è cresciuto durante l'ultimo decennio in molti paesi in via di sviluppo (PVS). La sicurezza alimentare dovrebbe essere un obiettivo fondamentale d'ogni politica di sviluppo e, contemporaneamente, la misura del suo successo.
Il Summit mondiale sull'alimentazione, organizzato a Roma nel novembre 1996 dalla FAO ha riaffermato il diritto di ognuno ad avere accesso ad un'alimentazione sana e nutriente, e ha deciso che il contenuto dei diritti legati all'alimentazione, come precisato nell'articolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, debba essere chiarito. Il Summit ha inoltre stabilito che l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani dovrà essere invitato a definire più precisamente i diritti relativi all'alimentazione, e a proporre strategie per l'applicazione pratica di questi diritti. Ad oggi circa 20 nazioni hanno inserito il diritto all'alimentazione nelle proprie Costituzioni.
La sicurezza alimentare dipende dalla natura della crescita economica e specialmente dallo sviluppo dell'agricoltura e dell'ambiente rurale. Il problema non consiste tanto nella necessità di sviluppare la produzione per aumentare la sicurezza alimentare, quanto in quella di ottenere uno sviluppo più equilibrato in modo da riassorbire la povertà rurale. Ridurre l'insicurezza alimentare nelle campagne significa quindi rafforzare i meccanismi di protezione sociale delle famiglie rurali e rendere sicuro il loro ambiente economico. La sicurezza alimentare dipende dall'accesso ai mezzi di produzione e alle risorse economiche (credito) e naturali (terra). In certi casi l'accesso alla terra tramite riforme agrarie incisive rappresenta la condizione necessaria per migliorare la sicurezza alimentare.
I programmi di riduzione della povertà devono preoccuparsi di redistribuire i diritti di proprietà, impedendo concentrazioni e acquisizioni di terreni che minaccino la "sovranità alimentare" di un paese. I dati ufficiali del governo brasiliano ad es. evidenziano che:
6 milioni di ettari di terra sono attualmente
improduttivi;
4 -5 milioni di famiglie contadine vivono senza alcuna proprietà terriera;
46 milioni di ettari di sottosuolo sono di proprietà delle compagnie
multinazionali;
1 milione di piccole aziende contadine sono andate perse in 10 anni; 400.000
solo negli ultimi due;
7,5 miliardi di dollari sono spesi in importazioni alimentari.
La sicurezza alimentare dipende dall'accesso ai meccanismi decisionali pubblici. Essere poveri spesso significa non poter influenzare le decisioni prese a livello istituzionale, non essere riconosciuti nei propri diritti di cittadini, non poter tutelare i propri interessi. Migliorare globalmente la sicurezza alimentare, significa migliorare le capacità di negoziazione dei gruppi marginalizzati all'interno di una società. Esiste un'economia politica della sicurezza alimentare in ogni paese che occorre analizzare per capire a fondo gli squilibri redistributivi.
A lungo termine la domanda di generi alimentari per una popolazione mondiale di 9/10 miliardi di persone non è sostenibile senza profonde modificazioni nei consumi e nella redistribuzione delle risorse naturali.
La popolazione mondiale può essere oggi suddivisa
in tre gruppi:
1,2 miliardi di persone che consumano l'equivalente di 850 Kg di grano ogni
anno, molti dei quali sotto forma di prodotti per uso animale;
3,5 miliardi di persone che consumano un equivalente di circa 350 Kg;
1,2 miliardi di persone che sopravvivono con 150 Kg.
Secondo gli attuali tassi di sviluppo demografico, nel 2050 10 miliardi di persone abiteranno il pianeta; ciò significa una diminuzione della media di terreno coltivabile pro capite dagli attuali 0,8 ettari a 0,5 ettari. Anche mantenendo gli attuali tassi di produttività, sarà ben difficile migliorare la situazione sopra esposta. L'aumento della produzione deve quindi derivare dalla crescita dei rendimenti agricoli senza danni agli ecosistemi. Ciononostante questa crescita non è per niente sicura e gli studiosi rilevano il recente rallentamento della produttività di gran parte delle colture. Ciò presuppone uno sforzo in termini di ricerca e sviluppo che costituisca una rottura con le tendenze attuali. Il commercio internazionale dovrà assicurare un contributo importante nell'approvigionamento alimentare dei paesi in via di sviluppo. Questi dovranno riuscire a procurarsi le risorse necessarie, aumentando la propria presenza sui mercati dei prodotti alimentari.
La questione della stabilità dei mercati internazionali diviene quindi centrale. I più ottimisti fondano le proprie speranza nella liberalizzazione. Ma la liberalizzazione così come sta imponendosi oggi - ad una via, dal Nord al Sud, anzichè a due vie - comporta costi sociali eccessivi per quei paesi in cui le importazioni sono significative ed i mercati totalmente aperti. Senza adeguati sostegni in termini di infrastrutture, credito, formazione ed informazione, i produttori locali dei paesi del Sud del mondo sono completamente indifesi di fronte alla concorrenza delle azienda europee e statunitensi e non riusciranno mai a migliorare la posizione dei propri paesi nei mercati agricoli internazionali. Il problema della povertà non si risolve soltanto attraverso la crescita della produzione agricola. Questa non sopprime la fame né migliora la sicurezza alimentare. Gli effetti di trascinamento non sono sufficienti ad allargare la base della crescita a tutta la popolazione.
Il carico del debito estero nei paesi in via di sviluppo ha pesantemente ridotto l'autonomia dei loro sistemi alimentari, privandoli delle risorse economiche che avrebbero potuto essere impiegate nelle politiche di sviluppo agricolo. Anche le condizioni imposte dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale a garanzia dei prestiti effettuati - le cosiddette politiche di aggiustamento strutturale -, hanno accentuato la dipendenza dalle importazioni. Anche se teoricamente, avrebbero dovuto contribuire nel lungo periodo a favorire la sicurezza alimentare, in pratica hanno diminuito il potere d'acquisito dei consumatori a basso reddito e provocato la perdita di competitività dei piccoli produttori. Oggi di conseguenza, in molti paesi del Sud del mondo la soglia della povertà è stata superata da un numero sempre più crescente di individui e famiglie. Il miglioramento delle condizioni alimentari del Sud del mondo è perciò strettamente connesso alla cancellazione del debito estero e alla riconversione delle politiche di aggiustamento strutturale in un'ottica di sviluppo economico e sociale per tutte le popolazioni, a partire dalle fasce più vulnerabili.
I governi dell'Unione Europea e degli USA, nonostante sostengano l'importanza dell'apertura totale dei mercati internazionali anche in campo agricolo, per lunghi anni hanno eretto barriere protettive nei confronti dei prodotti agricoli provenienti dal Sud del mondo (innalzando tariffe doganali, stabilendo quote massime d'importazione e soprattutto sostenendo finanziariamente le esportazioni dei propri agricoltori). Miliardi di dollari sono stati annualmente spesi in termini di sovvenzioni alle esportazioni, compensazioni dei prezzi ecc. con enormi costi per le collettività, sia al Nord, sia al Sud, dove le fragili imprese agricole locali sono state letteralmente spazzate via dalla concorrenza "sleale" dei prodotti agricoli europei e statunitensi.I redditi rurali sono fortemente diminuiti e gli investimenti in campo agricolo sono divenuti sempre più difficili, provocando il licenziamento di molti lavoratori e l'esodo dalle campagne verso gli agglomerati urbani. Il gruppo dei paesi a più basso reddito spende oggi la metà delle proprie entrate commerciali per le importazioni di prodotti alimentari, in una proporzione doppia rispetto a 30 anni fa.
L'autonomia e la sicurezza dei sistemi alimentari
di molti paesi in via di sviluppo sono oggi seriamente minacciate dagli accordi
sui Diritti di proprietà intellettuale negoziati all'interno dell'Organizzazione
Mondiale del Commercio (OMC), e dall'influenza che poche società transnazionali
di biotecnologie esercitano sulle comunità del Sud del mondo. Questi accordi
rafforzano la tendenza all'utilizzo commerciale su larga scala degli alimenti
"brevettati" dalle grandi compagnie multinazionali a danno dei piccoli
produttori locali e delle stesse famiglie rurali (nei paesi compresi nella
Convenzione di Lomé il 70% della popolazione vive in comunità rurali), che
vengono private di fonti di sostentamento e di reddito, fino ad oggi disponibili
gratuitamente.
Le società multinazionali del settore (5 di loro concentrano la maggioranza
delle quote di mercato mondiale) possono legalmente brevettare le nuove
tecnologie prodotte attraverso l'utilizzo di organismi viventi. Alcune
biotecnologie potrebbero realmente contribuire alla sicurezza alimentare delle
fasce più povere della popolazione mondiale. Purtroppo, le ricerche
biotecnologiche con potenziali impatti sull'agricoltura sono condotte e
finanziate a beneficio delle compagnie multinazionali, d'importanti attori
commerciali e dei consumatori dei paesi ad alto reddito.
Fame è un termine di uso comune che comprende fenomeni diversi. Si deve almeno distinguere in relazione a:
* il grado di carenza alimentare, che può essere
qualitativo (malnutrizione), dovuto alla mancanza di un'adeguata qualità e
varietà di cibo;
quantitativo (denutrizione), quando non viene raggiunto regolarmente il corretto
livello medio di calorie pro-capite giornaliere, stimato dalle 2700 alle 3700
dalla F.A.O. (Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura);
assoluto, quando l'insufficienza di calorie è prolungata e mette a rischio la
sopravvivenza.
* la durata della carenza alimentare, che può
essere
temporanea (carestia), quando è legata a fenomeni transitori che colpiscono la
produzione o la distribuzione di prodotti alimentari;
permanente, quando esistono condizioni strutturali di insufficienza alimentare.
La fame, nella forma di denutrizione o
insufficienza alimentare permanente è uno degli aspetti estremi della povertà.
E' un fenomeno diffuso nei paesi a basso reddito, soprattutto in Africa
Sub-Sahariana e in alcune regioni asiatiche. Se si considerano anche regioni o
popolazioni, non denutrite permanentemente, ma esposte con frequenza a carestie,
la fame può essere considerata come uno dei maggiori problemi mondiali. La F.A.0.
ha stimato che nel 1995 la popolazione mondiale colpita dal problema della fame
arrivava a 800 milioni d'individui, di cui la maggior parte, pari a 528 milioni,
in Asia, vale a dire più del 10% della popolazione mondiale e più del 15% della
popolazione asiatica. Negli ultimi trent'anni il numero degli individui colpiti
è diminuito (erano 950 milioni nel 1970), ma non in maniera omogenea nelle
diverse aree geografiche. In molte regioni dell'Africa Sub-Sahariana il problema
è peggiorato. Le cause della fame sono complesse. La fame non è una conseguenza
solo, e nemmeno in misura prevalente, di problemi tecnici o economici del
settore agricolo. Tali problemi possono creare condizioni sfavorevoli o
difficili, ma la fame su grande scala si diffonde solo in presenza di altri
fattori di tipo economico e sociale. Il primo dato evidente è che la produzione
agricola mondiale è più che sufficiente per soddisfare il fabbisogno energetico
umano medio di circa 3000 calorie al giorno. Negli ultimi dieci anni la
produzione agricola mondiale è cresciuta del 2,2% all'anno, cioè di più della
popolazione, cresciuta del 1,6% all'anno. Su scala mondiale, il problema è nella
distribuzione della produzione e del consumo:
la produzione e il consumo sono concentrati per circa l'80% nei paesi
industrializzati ad alto reddito;
la produzione agricola nei paesi industrializzati è maggiore del fabbisogno, ma
le esportazioni agricole verso i paesi bisognosi sono insufficienti;
la produzione agricola nei paesi non industrializzati con carenze alimentari è
insufficiente per il fabbisogno alimentare interno, perché spesso è concentrata
in produzioni destinate all’esportazione.
Un fatto significativo, riguardo alla fame nel mondo, è che la produzione agricola mondiale è più che sufficiente per il fabbisogno energetico umano stimato dalla F.A.O. in 3200 calorie giornaliere. Invece, è molto diseguale la disponibilità di risorse alimentari nelle diverse regioni del mondo. Una delle ragioni per cui alcuni paesi con insufficienti risorse alimentari non riescono ad importarle sta in alcuni meccanismi del commercio internazionale. Ad esempio, molti paesi africani sono diventati specializzati nelle produzioni agricole di basso valore o per uso animale (semi, soia, etc.); questo crea difficoltà ad esportarne volumi così elevati da poter ripagare grandi quantità di prodotti alimentari ad alto valore acquistati all'estero. Alcuni fattori molto importanti che creano condizioni di insufficienza alimentare riguardano l'organizzazione economico-sociale interna dei paesi, come messo in luce da numerosi studi di Amartya Sen (India, 1933). Anche all'interno di molti paesi colpiti dalla fame, il problema non nasce da un'insufficienza assoluta di produzione o disponibilità di risorse alimentari, ma dai meccanismi di distribuzione e di accesso di queste risorse. Ad esempio, anche nei paesi a basso reddito, in Africa o in Asia, la fame non riguarda uniformemente tutta la popolazione, ma solo alcune fasce di essa. In particolare quelle più limitate nelle loro capacità e opportunità, quelle prive di mezzi di sussistenza e di mezzi autonomi di produzione, i disoccupati, gli emarginati. Emblematici sono i poveri residenti nelle città. La fame si diffonde nelle campagne in seguito ad eventi particolarmente gravi (siccità, morie, guerre), ma la sua diffusione è in genere favorita da gravi inefficienze nei trasporti, nei sistemi di stoccaggio, negli strumenti di sostegno e assicurazione.
Oggi la morte per fame è uno dei problemi mondiali più fortemente avvertiti. Numerose organizzazioni pubbliche e private sono impegnate su questo fronte, in particolare l'agenzia delle Nazioni Unite F.A.O. (Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura). La comprensione del fenomeno e gli interventi contro la fame si sono modificati negli ultimi due decenni, anche se le politiche d'intervento sembrano ancora troppo settoriali rispetto alla ramificazione economico-sociale delle cause. Oggi governi e organizzazioni pubbliche e private si muovono lungo tre direttrici principali:
gli aiuti di emergenza, ossia interventi massicci
di forniture alimentari, in genere coordinate tra governi e agenzie
internazionali, che scattano in presenza di carestie, guerre o altri eventi che
minacciano temporaneamente la sopravvivenza di specifiche popolazioni;
le politiche di autosufficienza alimentare, ossia l'adozione di misure
governative di medio-lungo periodo tendenti a correggere o impedire fenomeni di
bassa produzione agricola interna, di impoverimento delle campagne o di
scorretto orientamento della produzione agricola verso il commercio
internazionale quando questo determina problemi di approvvigionamento
alimentare;
le politiche di sviluppo umano, di cui le politiche di lotta alla fame sono una
componente, ma che, nello stesso tempo, acquistano maggior efficacia in un
quadro di eliminazione dei fattori economico-sociali interni che espongono le
fasce della popolazione al rischio di fame a causa di meccanismi di
emarginazione.