L'aiuto umanitario (o complesso di azioni inerente il soccorso urgente o d'emergenza) discende dai principi etici espressi dalla dichiarazione dei diritti umani ed ha come obiettivi il soccorso, l'assistenza e la protezione delle popolazioni (in particolare di quelle più vulnerabili), vittime di eventi catastrofici, siano tali eventi di origine naturale (uragani, terremoti) o umana (guerre, conflitti politici, crisi economiche o alterazioni dell'ambiente). Compito dell'aiuto umanitario è la prevenzione e l'attenuazione della sofferenza umana, senza alcuna discriminazione razziale, etnica, religiosa, di sesso, di età, di nazionalità o di appartenenza politica.
L'azione umanitaria si sviluppa in cinque
settori:
L'aiuto umanitario generico (che prevede l'assistenza alle vittime di situazioni
strutturali di penuria, successive a crisi economiche prolungate od a conflitti
persistenti);
L'aiuto umanitario d'urgenza (che si attiva con forniture massicce di beni e
servizi indispensabili a garantire la sopravvivenza delle popolazioni colpite da
calamità);
L'aiuto alimentare urgente (che si attua con l'invio mirato di generi
alimentari, destinati alle popolazioni minacciate dalle carestie o da gravi
penurie, qualunque ne sia stata l'origine);
L'aiuto ai rifugiati ed ai profughi (inteso ad organizzare sia l'accoglienza nei
paesi ospitanti che il rimpatrio delle persone sfollate);
La prevenzione dei disastri (che prevede l'attivazione di sistemi informativi e
di preallarme nelle area a rischio, coadiuvati da dispositivi atti a contenere e
ad attenuare gli effetti di una calamità).
L'aiuto umanitario è un intervento di organizzazioni private o ufficiali avente lo scopo di fornire mezzi economici e tecnici a gruppi, organizzazioni o governi che presentano bisogni economici che non sono in grado di soddisfare da sé. Gli aiuti internazionali possono essere distinti in base allo scopo, ai mezzi, ai soggetti donatori, ai soggetti destinatari. Lo scopo degli aiuti internazionali può essere fondamentalmente di due tipi:
che vengono attuati in occasione di gravi eventi naturali, economici, sociali, di elevato impatto sulle condizioni di vita della popolazione; essi hanno una dimensione e una durata predefinita in relazione al tipo di evento che ha colpito la popolazione
che vengono attuati in relazione a problemi economici e sociali permanenti, per i quali gli aiuti devono tendenzialmente favorire una soluzione stabile e definitiva
I mezzi con cui si attuano gli aiuti internazionali possono essere:
come derrate alimentari, indumenti, sementi, e tutto ciò che può essere immediatamente utilizzato dai destinatari; si tratta di mezzi tipici degli aiuti di emergenza
come macchinari, impianti, personale tecnico e scientifico, istruttori, insegnanti, e tutto ciò che può essere utilizzato dai destinatari, da soli o insieme ai donatori, per avviare attività economiche; sono mezzi tipici degli aiuti strutturali
prestiti (a titolo oneroso, con pagamento d'interessi agevolati, inferiori a quelli di mercato) o donazioni (a titolo gratuito) in denaro, che i destinatari possono utilizzare per effettuare spese su progetti economici propri o concordati coi donatori; gli aiuti finanziari sono generalmente legati a problemi strutturali, ma possono intervenire anche in occasioni di emergenza.
I soggetti donatori e i soggetti destinatari
possono essere:
* privati, generalmente organizzati in forme di cooperative (vedi cooperative e
“Non Profit”) o di organizzazioni non governative
* ufficiali, si parla di aiuti bilaterali se essi si effettuano dal governo
donatore direttamente al governo destinatario, di aiuti multilaterali se essi
giungono al governo destinatario tramite organizzazioni economiche
internazionali.
L'andamento e la composizione degli aiuti internazionali riflette il clima politico, le tesi economiche, i successi e gli insuccessi del periodo storico.
* 1950-75: la fiducia negli aiuti ufficiali. Nel
clima generale di riforma del sistema monetario internazionale improntata alla
regolazione dei mercati valutari e dei mercati finanziari, e alla creazione di
autorità di controllo sovranazionale mediante le organizzazioni economiche
internazionali, si forma il consenso generale per affrontare il problema della
povertà mondiale. Questa fase è dominata dall'avvio di grandi programmi di aiuti
ufficiali sia bilaterali che multilaterali, di cui è responsabile in misura
crescente la World Bank (Banca Mondiale), affiancata poi dal D.A.C. (Comitato di
Assistenza allo Sviluppo). Tuttavia il periodo si conclude con una crescente
insoddisfazione per i pochi risultati raggiunti e i molti sprechi di fondi
pubblici (vedi industrializzazione). Le principali difficoltà riguardano:
(a) errori nella programmazione e nel controllo di grandi progetti
(b) assenza di efficaci procedure di valutazione dei risultati a lungo termine
(c) incapacità o impossibilità di impedire abusi da parte dei governi
destinatari, in particolare nel caso di governi non democratici
(d) crescente uso politico degli aiuti nell'ambito di accordi bilaterali.
* 1975-95: la fiducia nei mercati finanziari. Il mutamento di rotta dei governi dei maggiori paesi industrializzati, a favore di una diminuzione dei controlli interni e internazionali soprattutto sui mercati finanziari, mutamento che dà avvio alla moderna globalizzazione, comporta anche un drastico cambiamento nella natura, composizione e finalità dei flussi finanziari verso i paesi bisognosi. Gli aiuti finanziari in senso stretto si riducono di molto lasciando più spazio ai movimenti di capitali privati, i quali sono dettati esclusivamente dal calcolo di convenienza economica dei prestatori privati. Questo aspetto, secondo molti economisti, dovrebbe favorire un impiego più efficiente dei capitali, rispetto ai condizionamenti e agli abusi politici che avevano reso improduttivi gli aiuti ufficiali del periodo precedente.
* 1995- ...: crisi finanziarie ed emergenze. Tra il 1980 e il 1995 numerosi paesi in via d'industrializzazione dell'America Latina e dell'Asia, abbondantemente finanziati dai privati, subiscono una serie di crisi finanziarie principalmente legate alla crescita del loro debito estero. A metà degli anni '90 la piena fiducia nei finanziamenti privati viene meno. La necessità di prendersi cura delle emergenze finanziarie di questi paesi, e contemporaneamente alcune catastrofi naturali e belliche in Africa e in nell'Europa orientale mettono al centro dell'attenzione internazionale il problema degli aiuti di emergenza.
Nel 1995 il totale degli aiuti internazionali è stato pari a circa 60 miliardi di dollari. Più del 50% è andato a paesi a basso sviluppo umano, quindi particolarmente bisognosi non solo dal punto di vista economico, ma anche per altri aspetti sociali. Tuttavia, gli aiuti ricevuti da questi paesi è stato pari solo al 4,2% del loro reddito. Risulta evidente la tendenza alla riduzione degli aiuti internazionali. Nel 1993 il totale degli aiuti è stato di 56,5 miliardi di dollari e nel 1998 di 51,8. In rapporto al reddito di ciascun donatore si è passati, in media dallo 0,3% allo 0,2%. Uno dei maggiori donatori, la Svezia è passata da quasi l'1% allo 0,7%. L'Italia è scesa dallo 0,3% allo 0,2%.
Gli aiuti di emergenza hanno sempre rappresentato
un aspetto significativo della cooperazione internazionale, ma sono diventati
uno specifico settore d'intervento solo a partire dagli anni '90. Una ragione
importante è il mutamento dello scenario politico mondiale che, dopo la fine
della spartizione del mondo tra Stati Uniti e Unione Sovietica, ha segnato un
aumento un forte aumento delle cosiddette "guerre regionali", in Africa, Estremo
Oriente ed Europa orientale. Il terreno principale degli aiuti d'emergenza è
stato quello degli aiuti alle popolazioni colpite da eventi bellici. Gli
"specialisti" di aiuti d'emergenza sono oggi principalmente
(a) le organizzazioni umanitarie ufficiali, emanazione delle Nazioni Unite e,
per l'Europa, le agenzie umanitarie dell' Unione Europea.
(b) le organizzazioni non governative.
L'esperienza degli anni '90 ha portato a maturazione alcune innovazioni nella concezione e nell'attuazione degli aiuti di emergenza:
* un evento catastrofico (oggi chiamati
catastrofi umanitarie) è raramente dovuto a pura fatalità, ma a cause di tipo
economico (ad es. desertificazione, epidemia), sociale (ad es. guerra civile,
guerra religiosa) o politico (ad es. guerra regionale) che devono essere
individuate ed affrontate prima (prevenzione)
* la vera emergenza generalmente copre un breve periodo di tempo; gli aiuti
invece possono avere effetti di più lunga durata (ad es. ammassi di derrate
alimentari, medicinali, strumenti tecnici, container) e quindi devono essere
concepiti anche in previsione della ricostruzione (riabilitazione)
* le cause delle catastrofi umanitarie possono persistere anche dopo l'evento
scatenante, e quindi gli aiuti d'emergenza devono essere accompagnati da
interventi strutturali di lungo periodo (sviluppo).
La prevenzione dei disastri si declina sua volta
in quattro tipologie di intervento:
* La prevenzione in senso proprio (che comprende, nei casi di conflitto,
approcci noti come diplomazia preventiva o prevenzione dei conflitti, che
richiede lo sviluppo delle risorse umane locali (formazione di quadri e di
tecnici, inseriti in reti regionali con compiti di informazione);
* Il rafforzamento organizzativo e istituzionale delle strutture umanitarie
esistenti (ovvero l'attuazione di una strategia internazionale, interessante le
agenzie dell'ONU, le agenzie bilaterali e le ONG, integrata da strategie
nazionali, organismi regionali e ONG locali);
* L'impiego di tecnologie a basso costo, utilizzabili dalle comunità locali
(tecniche agricole contro la desertificazione e tecniche di contenimento delle
acque, delle frane e delle sabbie);
* L'attenuazione, o riduzione, dei primi effetti prodotti da eventi catastrofici
(attraverso la mobilitazione delle risorse disponibili e il tempestivo
rifornimento di beni di prima necessità e di servizi).
Dopo il 1960, è stato registrato nel mondo un numero di catastrofi doppio del decennio precedente e triplo rispetto a quello riscontrato in ciascun decennio della prima metà del secolo. Negli ultimi trent'anni molti milioni di persone hanno perduto la vita e altrettanti le loro case e i loro averi in seguito a disastri di origine sia naturale che umana. Gli strati più deboli e le persone più indifese (donne e bambini) ne sono stati le principali vittime. Negli ultimi dieci anni, dopo la rottura del bipolarismo politico-ideologico Est/Ovest, le catastrofi sono state prevalentemente originate da conflitti di lunga durata, etnici, tribali, religiosi e tra stati, per rivendicazioni autonomistiche o per il controllo delle risorse, con epicentri nei Balcani, nel Vicino Oriente, in Africa, nel Caucaso e in Asia. Sono state poco meno di cinquanta le guerre che hanno attraversato queste regioni, devastandole e sviluppando verso le popolazioni civili forme di ferocia e di accanimento innominabili. Oltre diciassette milioni di profughi (che si aggiungono a decine di migliaia di perdite umane) ne sono stati il tragico esito, mentre quasi nessuna contesa, generatrice di questi conflitti, sembra aver trovato poi sul terreno una ricomposizione stabile.Per ciò che concerne le calamità naturali verificatesi in questa seconda metà del secolo, non vi è dubbio che alcune siano da imputarsi a un generale scadimento delle condizioni generali del pianeta, soggetto da tempo al saccheggio indiscriminato delle risorse ed alla violazione sistematica dei suoi equilibri ecologici.
I paesi poveri naturalmente sono risultati i più vulnerabili alle manifestazioni naturali violente, dove hanno agito come concause una crescita demografica incontrollata, l'inurbamento massiccio e le politiche di sviluppo dei governi locali ondivaghe, o troppo spesso subordinate agli interessi economici degli ex paesi coloniali. A fronte di tale situazione, la comunità internazionale ha compreso che i soccorsi d'urgenza non costituivano più, nei modi e nelle forme usate, una risposta sufficiente alle necessità reali e che i programmi di assistenza dovevano essere preceduti, ove possibile, da più adeguate misure di prevenzione, integrate da interventi a medio termine, necessari per reinserire le aree colpite da calamità o devastate da conflitti nei processi di sviluppo interrotti. In questo cambiamento, almeno teorico, di posizione delle agenzie umanitarie internazionali, hanno avuto parte significativa i suggerimenti delle ONG (europee in particolare), con la loro insistenza da un lato a rafforzare le operazioni preventive nelle aree a rischio e dall'altro a sviluppare la teoria del continuum (ovvero del ciclo aiuto umanitario urgente - riabilitazione - sviluppo), proponendo meccanismi di interconnessione automatica tra le diverse linee di finanziamento, onde impedire che il processo di ricostruzione si interrompa e vadano perduti i benefici già acquisiti con i primi interventi. E' nel medesimo contesto (continuum) che, ancora per impulso delle ONG, lo strumento dell'aiuto alimentare è stato inserito in un ciclo virtuoso che collega strettamente l'aiuto alimentare d'urgenza alla sicurezza alimentare e, dunque, lo stadio emergenziale allo sviluppo. Il rapporto tra aiuto alimentare (che è componente essenziale dell'aiuto umanitario) e sicurezza alimentare è da tempo oggetto di particolare attenzione, essendosi più volte verificato che l'aiuto alimentare non fosse in linea con le modalità, lo sviluppo e le tipologie della produzione agricola locale, e pertanto fonte di sprechi o distorsioni. Resta comunque argomento centrale della questione e del dibattito che ne è seguito definire le condizioni necessarie per realizzare nelle aree sottosviluppate, e in particolare in quelle soggette a penurie e carestie, una sufficiente autonomia alimentare. Tali condizioni (pur tenendo conto dei paesi a rischio per la loro collocazione geografico-climatica) sono parzialmente realizzabili con l'adozione di almeno due serie di misure: interne (amministrazioni locali) ed esterne (che i paesi ACP devono ottenere, contrattandole nell'ambito del WTO/OMC).
Le prime dovrebbero esigere:
* il potenziamento delle colture agricole rispondenti al fabbisogno locale;
* la differenziazione delle colture per l'esportazione;
* l'eliminazione o la drastica riduzione delle monocolture.
Le seconde, o esterne, che già 64 paesi hanno
richiesto, sono:
sostegno alle agricolture locali;
sostegno all'esportazione dei prodotti locali;
accesso ai mercati internazionali dei prodotti destinati all'esportazione.
Si tratta, come è evidente, di richieste modeste, tenendo conto che un quarto delle importazioni mondiali riguarda paesi non firmatari degli accordi sul commercio internazionale. L'attuazione del complesso di queste misure potrebbe già, tuttavia, costituire una solida base per l'avvio di una politica agricola e dei mercati più mirata al conseguimento dell'autosufficienza alimentare.