Gli individui hanno bisogno di elementari necessità senza il cui soddisfacimento non riescono a sopravvivere. Dovere morale ed etico è fare in modo che ogni persona abbia accesso ai bisogni primari.
Un’alimentazione adeguata deve fornire un ammontare minimo di calorie, proteine, lipidi, glucidi, vitamine e sali minerali indispensabili, oltre ad una quantità adeguata di acqua potabile. I fattori che determinano il fabbisogno individuale sono: l’età; il sesso; l’attività svolta; il peso corporeo (che è a sua volta un effetto dell’alimentazione); il clima; particolari condizioni fisiche personali (il metabolismo, la gravidanza, l’allattamento). I fattori che misurano la situazione alimentare di un Paese sono: il fabbisogno; il numero di abitanti; la produzione alimentare agricola e animale; l’uso di risorse alimentari non destinate all’alimentazione umana; le perdite che una risorsa può subire nei vari passaggi dalla produzione al consumo; il commercio internazionale; le riserve; i consumi, che sono dati da reddito, prezzi dei prodotti e abitudini.
Il vestiario serve a proteggere l’individuo dall’ambiente circostante, in particolare dalle temperature troppo basse o alte e, per quanto riguarda le calzature, dalla natura del terreno. Non tutti i popoli vi danno la medesima importanza: vi sono popoli attenti all’abbigliamento e altri, certo una minoranza, che disprezzano i vestiti ritenendo che l’unica bellezza sia il corpo umano nudo. Tra i primi, nel caso in cui la loro vita sia basata sull’agricoltura e la caccia, spesso i vestiti sono tessuti in casa. Nei Paesi più poveri, poi, se ci si ferma in una cittadina o in un villaggio, ci si ritrova circondati da bambini vestiti di magliette e pantaloncini stracciati. L’importanza di questo bisogno è insomma veramente originaria e connaturata all’uomo: non a caso, per fare un ultimo esempio, gli immigrati che arrivano in Europa via mare hanno come unico bagaglio un fagotto di vestiti asciutti avvolto nei sacchi della spazzatura.
L’abitazione svolge svariate funzioni:
riparo dalle intemperie;
protezione da alcune malattie;
sicurezza nei confronti di animali e altre persone;
tutela dell’intimità, di alcuni bisogni spirituali e dello svolgimento di
attività sociali.
800 milioni di persone nel mondo non posseggono un’abitazione decente. In molte
grandi città la maggioranza vive in quartieri miserabili: a Calcutta, ad
esempio, più di 600.000 persone dormono sui marciapiedi. Nei Paesi del
cosiddetto «socialismo reale» i grandi edifici prefabbricati sembravano la
soluzione ideale al problema dell’abitazione. Eppure oggi questi palazzi cadono
in rovina e l’amministrazione pubblica non sa come intervenire. Del resto, chi
ci abita è considerato pure fortunato dalle famiglie ancora in cerca di
alloggio. Va sottolineato ancora che anche la presenza di uno spazio aperto
intorno all’abitazione è generalmente considerato un fattore importante per una
migliore qualità della vita.
I servizi sanitari, in linea generale,
contribuiscono a che l’individuo non contragga malattie o, nell’eventualità,
riesca a guarirne. L’attenzione nei confronti di questi servizi diventa più
forte nella misura in cui la popolazione invecchia. Secondo l’Organizzazione
mondiale della sanità, i servizi sanitari devono garantire almeno i seguenti
criteri:
essere facilmente accessibili;
essere riforniti di strutture e strumenti adeguati essenziali;
garantire un’assistenza continua;
coinvolgere le persone malate nelle decisioni e informarle sulle precauzioni da
prendere per proteggere la propria salute;
disporre di personale qualificato, capace d’intervenire sulle eventuali
complicanze.
L'istruzione è uno degli elementi chiave della
vita. È uno dei diritti umani che possiede un potere immenso di trasformazione.
Si tratta dell’investimento più remunerativo per un Paese del Terzo mondo. È un
processo che dura tutta la vita e che non ha come solo riferimento le
tradizionali istituzioni scolastiche. È uno dei settori di maggiore importanza,
per alcuni non meno importante del cibo e dell’acqua. L’istruzione superiore
esercita un ruolo cruciale nell’era della competizione globale. l grado
d’istruzione non ha però un ruolo particolare nell’occupazione: anche nelle
fasce medio-alte un terzo degli occupati ha fatto i conti almeno una volta col
problema della disoccupazione. In alcuni Paesi, come in Francia, l’istruzione ha
smesso di svolgere il ruolo di «ascensore sociale».
L’istruzione è la condizione di una molteplicità di fenomeni.
Senza di essa non c’è sviluppo equilibrato, stabile e diffuso.
Senza di essa molti reputano che non si possa raggiungere la libertà.
Un’istruzione scadente è la condizione per il dilagare della criminalità.
Un suo evidente progresso permette agli strati sociali di migliorare la propria
condizione.
L’istruzione gratuita consente a molti di esercitare professioni prestigiose,
come l’avvocato o l’ingegnere.
Negli ultimi 50 anni il livello d’istruzione è cresciuto enormemente.
Sta calando il divario tra Paesi industrializzati e Terzo mondo: qui però il
livello in alcune aree sta peggiorando.
Molti tra i Paesi che spendono di più in istruzione hanno però raggiunto livelli
mediocri.
È cresciuta l’istruzione primaria, ma meno del previsto, anzitutto perché quella
femminile è rimasta stagnante.
Nell’indice di sviluppo umano, il suo livello si ricava da: Il tasso di
alfabetizzazione degli adulti. La media degli anni di scolarizzazione. Sono
analfabete più di un miliardo di persone, un quinto della popolazione mondiale
(27% delle donne e 15% degli uomini). L’istruzione è un diritto umano che
possiede un potere immenso di trasformazione.
Essa è la via più tradizionale e meno appariscente per elevarsi socialmente. Più
la persona è istruita, più è probabile che possa evitare di essere oppressa e
sfruttata dalla situazione sociale.
Il basso rendimento scolastico e l’alta frequenza di abbandoni degli studi sono
fenomeni fortemente influenzati dal reddito. I poveri non usufruiscono
dell’istruzione quanto gli strati più ricchi della popolazione.
Nel Terzo mondo molti adulti non hanno potuto ricevere alcuna istruzione di base
durante la loro giovinezza.
Negli Emirati Arabi Uniti i fondi stanziati per l’istruzione della popolazione
locale sono stati utilizzati dalle compagnie petrolifere per favorire i figli
degli esponenti delle oligarchie locali.
Negli Usa l’idea che i ragazzi debbano eccellere nello sport per essere
socialmente accettabili solleva questioni sullo stato dell’istruzione nelle
comunità afroamericane a basso reddito.
A sua volta, più è alta l’istruzione ricevuta, più alte sono le possibilità di
una vita buona, con un reddito alto.
I meccanismi di generazione, rinsaldamento,
riproduzione o moltiplicazione dell’emarginazione sono di varia natura:
Meccanismi ideologici: l’ideologia dominante del benessere, dell’efficienza, del
consumo, della produttività tende a emarginare chi non è produttivo.
Meccanismi economici
povertà
dipendenza
l’assegnazione di grandi progetti agricoli ai grandi complessi agroindustriali e
la terra, spesso scarsa e di cattiva produttività, a pochi
industrializzazione
inflazione
le multinazionali tendono a marginalizzare la forza lavoro non necessaria a
produrre ricchezze
i bassi salari non ricompensano lo studio e il lavoro
austerità
aiuti e prestiti internazionali.
Meccanismi sociali
urbanizzazione
migrazioni
disoccupazione
corruzione
il sistema di produzione fondato sul lavoro salariato di un certo tipo
organizzazione sociale (talora livellatrice, come per gli autoctoni dell’America
centro-meridionale).
Meccanismi ecologici
clima
uragani
carestie
desertificazione.
Meccanismi politici
guerra
arbitrii e oligarchie
colpo di stato
gli enti paramilitari e la militarizzazione obbligano la politica a diventare
armata
lo Stato-nazione burocratico e autoritario mette da parte alcuni popoli (es. i
Tuareg)
egemonie regionali.
Meccanismi culturali
una società estremamente omogenea
razzismo, nazionalismo, integralismo
rassegnazione e paura
la donna come fabbrica di figli
società dei consumi
scuola
informazione (cattiva fama)
il tentativo di salvare le culture autoctone.
I tipi più comuni di emarginazione riguardano
diversi aspetti:
L’età
i giovani, specie i minori, si sentono emarginati dalla società, che colloca i
più vivaci tra loro nei ghetti urbani;
in Russia sono stati i genitori a divenire emarginati, buttati a mare con lo
«Stato provvidenza» che dava loro da vivere;
gli anziani.
L’aspetto sessuale
le donne sono relegate ai margini della vita pubblica;
le vedove e le divorziate non risposate sono spesso considerate minacce
all’ordine sociale;
in certi Paesi, in cui vige l’usanza dell’infibulazione, sono emarginate le
donne non infibulate, ma talora anche le infibulate;
omosessuali;
transessuali.
Persone in condizioni di difficoltà e considerate perturbanti l’ordine della
vita quotidiana e devianti dalle regole di normalità vigenti
malati gravi (es. Aids, lebbra)
handicappati fisici
handicappati psichici
albini
genitori che allevano da soli i figli.
Mestieri o condizioni esistenziali ritenute particolarmente immorali
prostitute
drogati
carcerati.
Elementi di natura sociale:
gruppi inseriti nell’economia precapitalistica
villaggi senza strade
piccoli contadini
baraccati
salariati non stabili
i figli del ceto medio (nei paesi occidentali)
piccola borghesia marginale
artigiani
venditori ambulanti
piccoli servizi
sottoproletariato
disoccupati o saltuari che vivono di espedienti
accattoni
ragazzi di strada.
Le minoranze
minoranze etniche: es. immigrati, popoli autoctoni, gli afroamericani
minoranze culturali: chi non partecipa, non è integrato e ha modelli
tradizionali
religiose
politiche.
Gli effetti dei fenomeni di marginalizzazione sono molteplici. L’emarginazione dalle grandi dinamiche commerciali e finanziarie ha provocato grandi disavanzi nella bilancia dei pagamenti internazionali del Terzo mondo. Il totalitarismo, che nasce «dal basso» e «di lato», negli strati marginali ed emarginati. I fenomeni di emarginazione riducono le tensioni legate alla politica del lavoro, poiché rendono difficile la creazione di nuovi posti di lavoro, creando una sacca di disoccupati di riserva spesso utile ai datori di lavoro per abbassare i salari e tenere sotto pressione gli occupati. I gruppi integralisti o pseudoreligiosi sono talora espressione della rivolta degli emarginati: questi ultimi sono spesso un terreno di coltura e i destinatari dell’opera missionaria di queste formazioni. L’emarginazione etnica dei cittadini, attraverso il meccanismo dei licenziamenti di massa e dell’esclusione dalle scuole e dagli ospedali, non fa che radicalizzare le rivendicazioni per l’indipendenza politica (emblematico il caso del Kosovo). Un’altra possibile conseguenza è la nascita di gruppi armati contadini che puntano tutto sulla guerriglia (es. Messico). Anche in Sudan, all’origine dei conflitti tuttora in corso c’è il decennale stato di abbandono e di emarginazione del sud del Paese. Fenomeni di emarginazione hanno costretto gli immigrati nelle parti più degradate delle metropoli occidentali, favorendo il pregiudizio, la contrapposizione tra etnie, l’aumento delle aggressioni e l’assenza di prospettive. L’assenza di prospettive degli emarginati è emblematica nel caso dei Rom, che sono spesso accusati di essere criminali “naturali” e hanno difficoltà a conseguire un titolo di studio o permessi di costruzione.
Il nuovo ordine economico internazionale,
attraverso il movimento dei capitali e la liberalizzazione del commercio,
contribuisce all’emarginazione del Terzo mondo.
Negli ultimi 10 anni, molti Paesi sono rimasti indietro, sempre più emarginati
dalle principali correnti dell’economia mondiale e dalle trattative sugli
accordi commerciali. Inoltre i Paesi piccoli hanno un rango marginale sul
mercato delle notizie o degli aiuti degli organismi internazionali.
L’Asia, a parte la cronicità che si registra nelle calamità economiche e
sanitarie, dalla fine della guerra fredda si è vista sempre più emarginata (il
caso dell’India e del Pakistan è stato abbandonato anche dalla politica
internazionale).
Quanto al Sudamerica, la classe media argentina vive in un Paese il cui reddito
per abitante è un terzo di quello degli Usa.
L’emarginazione dell’Africa si è progressivamente accelerata
Hegel definì l’Africa «un mondo ancora al margine della storia universale»
la mondializzazione del mercato ha accentuato l’emarginazione e ha evidenziato
le debolezze dello Stato africano
le minacce più gravi alla stabilità politica sono però venute dall’interno del
Continente Nero
la personalizzazione e il monopolio del potere hanno spesso favorito
l’emarginazione, aggravata dai programmi di aggiustamento strutturale
l’emarginazione degli strati popolari di vari Paesi africani ha accentuato
quella internazionale
per alcuni, tuttavia, la marginalizzazione nell’economia mondiale ha
salvaguardato l’Africa dalle conseguenze più gravi di tale processo.
Si parla di mortalità infantile nel caso di
coloro che muoiono entro il primo anno di vita. Talora si parla di mortalità
infantile riferita a coloro che muoiono nei primi cinque anni di vita, ma in
questo caso si parla anche di mortalità giovanile. Nel 1995 circa quattro
milioni di bambine e bambini sono nati morti, per circa metà a causa di
complicazioni intervenute nel travaglio e durante il parto. La mortalità
infantile si è dimezzata in 40 anni. Di fatto, essa è quasi scomparsa tra i
Paesi industrializzati, ma: Nel 1915 in quasi tutti gli istituti per l’infanzia
orfana e abbandonata degli Usa tutti i bambini e le bambine morivano prima dei
due anni di età. Gli aborigeni australiani hanno tassi elevati quanto quelli del
Terzo mondo. Nei Paesi più poveri si registra una forte mortalità infantile, che
in molti Paesi africani è ancora elevatissima. Benché persistenti, le disparità
territoriali sono in via di riduzione, almeno in alcuni Paesi. Svariati Paesi
tra i più poveri, però, non hanno conseguito progressi apprezzabili e ancora
registrano un 20% di mortalità sotto i cinque anni. Dalla fine degli anni ’80,
si è registrato un aumento della mortalità infantile in alcuni Paesi: Lieve in
alcune aree urbane dell’America centro-meridionale. In Russia. Forte in Africa
orientale, provocato dal fatto che il principale farmaco per curare la malaria,
la clorochina, non funziona più. Vertiginoso in Corea del Nord: a fornire questa
notizia sono le organizzazioni di cooperazione straniere, visto che da molto il
governo non fornisce statistiche. A dismisura negli ultimi anni, in un modo
finora sconosciuto, in Iraq.I dati sulla mortalità infantile sono quelli più
diffusi e affidabili. Essa è un buon indicatore indiretto della disponibilità
di: Attrezzature igieniche, forniture di acqua potabile, servizi sanitari. Le
maggiori cause immediate dei diversi livelli di mortalità sotto i cinque anni
nei diversi Paesi sono:
Le condizioni di vita delle famiglie.
La prevalenza e le modalità di trasmissione degli agenti delle malattie
infettive.
Lo stato nutrizionale dell’infante.
La mortalità neonatale, che interviene entro la
quarta settimana di vita, è influenzata da almeno tre elementi:
Le condizioni della madre prima e durante la gravidanza.
Le condizioni del parto.
Le cure sottoposte all’infante subito dopo la nascita.
Tra i quasi cinque milioni di casi di mortalità
neonatale, solo il 10% è deceduto per anomalie congenite. Il responsabile della
mortalità infantile può essere indicato in un intreccio di cause legate al
sottosviluppo socio-economico:
La malnutrizione. Ad essa si accompagna:
Perdita di appetito.
Sempre minore capacità di assimilare il cibo.
La mancanza di assistenza sanitaria
Strutture sanitarie adeguate.
Ambienti di cura igienici e ben ventilati.
Le malattie infettive e parassitarie.
Le principali malattie responsabili della
mortalità negli infanti sono:
La diarrea (28% dei casi).
Il morbillo, il tetano e la pertosse (21%).
La polmonite e le altre infezioni acute delle vie respiratorie (15%).
La malaria (7%).
Il paludismo, soprattutto in Africa.
Tra il 1950 e il 1995 si è registrata una
diminuzione della mortalità infantile a parità di reddito reale (un Paese con un
reddito medio annuo individuale di 8.000 dollari è passato da un livello del 45‰
a uno del 15‰). Le cause sono:
Il miglioramento delle condizioni generali di vita.
Il miglioramento delle conoscenze in ambito clinico-terapeutico e delle
condizioni dell’ambiente (es. la costruzione di sistemi fognari) e dei presidi
terapeutici.
La scoperta e la diffusione di nuovi farmaci e vaccini e delle norme di
profilassi, dovute alle cure sanitarie di base.
Il consolidamento del potere dello Stato: sono diminuiti gli eccidi e le razzie
tra etnie rivali, anche se permangono grossi scontri in vaste zone del mondo.
La scomparsa dello schiavismo.
L’introduzione di criteri di pianificazione familiare.
La sempre maggiore estensione dell’istruzione: secondo le statistiche, tre anni
di scolarizzazione delle madri riducono la mortalità dei loro figli del 15%.
Nei Paesi industrializzati una migliore qualità dell’alimentazione e
dell’abitazione, derivata dallo sviluppo economico.
La riduzione della mortalità infantile è uno degli obiettivi della politica sanitaria internazionale. Si stima che circa 10 milioni di persone nate nel 1997 moriranno prima di aver compiuto cinque anni: un livello inaccettabile, anche se più che dimezzato rispetto ai 21 milioni di morti che hanno falcidiato la generazione del 1955. In gran parte questi decessi potrebbero essere evitati. Li si potrebbe diminuire drasticamente in molti Paesi con appropriate politiche sanitarie e pochi mezzi.
La strategia per dimezzarla comprende le seguenti
misure:
La lotta agli agenti patogeni:
La dissenteria.
Le affezioni respiratorie acute.
La mortalità neonatale.
Una politica di vaccinazioni su ampia scala.
Una sempre maggiore attenzione alla qualità dell’alimentazione.
Una politica di diminuzione delle nascite e di sorveglianza, a livello
sanitario, delle gravidanze.
Il mantenimento di condizioni igieniche accettabili nell’ambiente circostante.
La speranza di vita è uno degli indicatori
sociali più importanti del benessere di un Paese. Esso riflette infatti
l’impatto di tutte le forme di privazione: È il parametro meno complesso per
misurare la salute e le condizioni igienico-sanitarie della popolazione. È tra
gli indicatori presi in esame dagli indici di sviluppo umano e di qualità della
vita. Tra le dimensioni prese in considerazione per l’indice di povertà umana,
c’è la percentuale di persone con una speranza di vita inferiore ai 60 anni (nei
Paesi industrializzati) o ai 40 anni (nel Terzo mondo). Anche se in alcuni
luoghi e tempi l’intrusione della civiltà moderna ha diminuito la durata della
vita, questa si è raddoppiata dai tempi della rivoluzione industriale:
Nell’ultimo dopoguerra essa è passata dai 48 anni del 1955 ai 67 attuali. Dal
1960 il Terzo mondo ha mediamente visto aumentare la durata di vita di 18 anni.
In alcuni Paesi, come la Malaysia, essa è vicina a quella dei Paesi
industrializzati, anche se lo scarto con questi ultimi rimane ancora di 11 anni.
I risultati delle ricerche riguardanti la prevenzione delle malattie cardiache,
su cui si è puntato molto negli ultimi 40 anni, hanno già notevolmente allungato
la vita media, così come ha contribuito favorevolmente l’arrivo dell’acqua
potabile in molte aree rurali. Nonostante l’insorgere di nuove malattie
infettive, come l’Aids,la speranza di vita è, nel complesso, in aumento e si
prevede che essa sarà: entro il 2020, al momento della nascita, di 71 anni in
tutto il mondo e di quasi 88 per le donne nei Paesi più ricchi; di 73 anni nel
2025, aumentando nella maggior parte delle aree del pianeta. Le scuole di
pensiero ottimistiche sostengono che, anche se appariranno nuovi flagelli e
nuove forme di inquinamento, la speranza di vita continuerà a crescere. Ciò
perché l’umanità dovrebbe scoprire mezzi sempre più efficaci per affrontarli. In
effetti, la percentuale di deceduti ultracinquantenni sul totale dei deceduti è
salito dal 34% del 1955 al 45% del 1975, sino al 58% del 1995 e si ritiene che
il valore possa raggiungere l’80% nel 2025. Eppure, di per sé, questa proiezione
non ha grande valore, perché non lascia percepire alcuni dati drammatici:
Nel Terzo mondo tre individui su quattro muoiono prima di aver raggiunto 50
anni. L’assenza di servizi fondamentali, come l’acqua potabile nelle case o
l’assistenza medica, fa sì che un terzo delle persone che abitano nei Paesi più
poveri abbia un’aspettativa di vita di appena 40 anni.
Nel mondo un decesso su cinque riguarda bambini che non hanno raggiunto i 5
anni. Nei Paesi più poveri la mortalità infantile, di fatto scomparsa tra i
Paesi industrializzati, ancor oggi causa quattro decessi su dieci.
Viceversa, nei primi solo il 16% dei decessi colpisce persone
ultra-sessantacinquenni, di contro al 77% dei secondi.
Ancora 150 milioni di persone vivono in Paesi dove l’attesa di vita è inferiore
ai 45 anni. In Africa, la speranza di vita sorpassa raramente i 55 anni.
Nel corso dell’ultimo trentennio i progressi sono stati accompagnati anche da arretramenti, a volte vistosi, in dipendenza di particolari o regionali fasi politiche, economiche o sanitarie: Circa 230 milioni di persone vivono nei 9 Paesi africani (Botswana, Ruanda, Uganda, Zambia e Zimbabwe) ed europei (Bielorussia, Lettonia, Russia e Ucraina)che tra il 1960 e il 1998 hanno visto decrescere l’attesa di vita alla nascita. Nei Paesi dell’Europa orientale la speranza di vita è quasi uguale a quella del 1960. Inoltre, negli ultimi anni per la prima volta in più di 50 anni, la speranza di vita degli Europei è diminuita: responsabili della tendenza negativa sono anzitutto i Paesi dell’ex Urss, tra cui la Russia, ove l’alcool sarebbe il responsabile principale del crollo. La carenza di alcune vitamine e di certi minerali può già da sola pregiudicare seriamente, per un Paese, le possibilità di una popolazione sana con un’elevata speranza di vita. In alcune aree africane l’Aids sta divenendo la prima causa di mortalità minacciando i progressi degli ultimi decenni. È probabile che in Africa australe e orientale la speranza di vita si riduca decisamente: il calo maggiore si prevede in Malawi, ove il dilagare dell’Aids ha già fatto calare la speranza di vita, che dovrebbe ulteriormente passare da 39 a 33 anni. Ci possono essere differenze notevoli di speranza di vita all’interno dello stesso Paese a seconda delle aree, delle classi sociali, del sesso o delle classi d’età: Ci sono regioni, come la Catalogna in Spagna, in cui la differenza fra una persona della classe agiata e una delle classi più umili è di 10 anni. In Australia quella degli aborigeni è di 15-20 anni più breve di quella della popolazione di origine europea. Le donne vivono più a lungo di una volta - in media 4 anni più degli uomini - soprattutto grazie al calo della mortalità materna. In Spagna quella delle persone dai 15 ai 49 anni è addirittura diminuita, perché in questa fascia d’età è aumentato il tasso di mortalità.