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Indice di Sviluppo Umano

Lo sviluppo umano è, secondo la definizione dell’UNDP, «un processo di ampliamento delle possibilità umane che consenta agli individui di godere di una vita lunga e sana, essere istruiti e avere accesso alle risorse necessarie a un livello di vita dignitoso», nonché di godere di opportunità politiche economiche e sociali che li facciano sentire a pieno titolo membri della loro comunità di appartenenza.

Gli obiettivi generali dello sviluppo umano sono i seguenti:

* promuovere la crescita economica sostenibile, migliorando in particolare la situazione economica delle persone in difficoltà;

* migliorare la salute della popolazione, con attenzione prioritaria ai problemi più diffusi e ai gruppi più vulnerabili;

* migliorare l’istruzione, con priorità all’alfabetizzazione, all’educazione di base e all’educazione allo sviluppo;

* promuovere i diritti umani, con priorità alle persone in maggiore difficoltà e al diritto alla partecipazione democratica;

* migliorare la vivibilità dell’ambiente, salvaguardare le risorse ambientali e ridurre l’inquinamento.

Al posto degli indicatori che si riferiscono alla sola crescita economica (come il prodotto nazionale lordo), che nulla dicono degli squilibri e delle contraddizioni che stanno dietro alla crescita, l’U.N.D.P. utilizza dal 1990 un nuovo indicatore di sviluppo umano (ISU o HDI nell'acronimo inglese).

L’indice di sviluppo umano tiene conto dei seguenti fattori:

* il reddito, rappresentato dal prodotto interno lordo (Pil) individuale, dopo una trasformazione che tiene conto sia del potere di acquisto della valuta, sia del fatto che l’aumento del reddito non determina un aumento del benessere in modo lineare (l’aumento di benessere è molto maggiore quando il Pil passa da 1000 a 2000 dollari che quando passa da 15.000 a 16.000).

* Il livello di sanità, rappresentato dalla speranza di vita alla nascita.

* Il livello d’istruzione, rappresentato dall’indice di alfabetizzazione degli adulti (moltiplicato per due) e dal numero effettivo di anni di studio.

Per ogni Paese, ognuno di questi 3 fattori è espresso da un numero compreso tra 0 e 1, dove 0 corrisponde al valore fissato più basso e 1 al valore fissato più alto.  Il numero è calcolato in base alla formula: (VP-vm)/(VM-vm) in cui  VP = valore osservato nel Paese; vm = valore minimo; VM = valore massimo. La media dei 3 valori ottenuti è chiamata indice di sviluppo umano.

L’Isu permette di evidenziare come il legame tra sviluppo economico e sviluppo umano non è automatico, né ovvio, sebbene oltre certi livelli di reddito, sia difficile avere un Isu basso. Solo alcuni dei Paesi di nuova industrializzazione sono riusciti a collegare crescita economica, occupazione e crescita nello sviluppo umano. Negli ultimi 20 anni, quasi tutti i Paesi hanno compiuto passi in avanti – in particolare il Terzo mondo ha ottenuto notevoli miglioramenti – nello sviluppo umano, ma lo hanno fatto con velocità diseguale e in connessione abbastanza diretta con le politiche che i Paesi intraprendono per migliorare il benessere dei propri cittadini. Rispetto all’Isu, l’Indice di povertà umana (Ipu) serve a misurare la distribuzione dei risultati ottenuti in termini di sviluppo umano. Non c’è correlazione tra Ipu e sviluppo umano, né tra Ipu e reddito. Le disparità di sviluppo umano sono stridenti anche tra città e campagna, regioni più ricche e più povere, aree centrali e periferiche, uomo e donna e tra etnie. Altri elementi minacciano un progresso nello sviluppo umano e sono cause di arretramenti. Tra di essi, l’impatto dei conflitti sulle strutture socioeconomiche e produttive e il peso delle ricostruzioni gravano come macigni sullo sviluppo umano, provocando arretramenti nei livelli di vita.

Paese

Isu

Paese

Isu

Canada

93,5

Sierra Leone

25,2

Norvegia

93,4

Niger

29,3

Stati uniti

92,9

Burkina

30,3

Australia

92,9

Etiopia

30,9

Islanda

92,7

Burundi

32,1

Svezia

92,6

Guinea Bissau

33,1

Belgio

92,5

Mozambico

34,1

Paesi bassi

92,5

Ciad

36,7

Giappone

92,4

Centrafrica

37,1

Gran Bretagna

92,4

Mali

38,0

Fonte: Undp, 2000

Un elevato sviluppo umano può essere raggiunto anche da chi non ha reddito altrettanto elevato, se il Paese riesce a utilizzare oculatamente le proprie risorse per il soddisfacimento dei bisogni primari. Viceversa, Paesi con elevato reddito possono avere uno sviluppo umano non elevato. La seguente tabella mostra i Paesi che nello sviluppo umano sono molto meglio o molto peggio piazzati rispetto al proprio reddito.

 

Paesi che sono maggiormente avanzati o retrocessi nella classifica dello sviluppo umano rispetto al reddito

Paese

Isu

Paese

Isu

Canada

93,5

Sierra Leone

25,2

Norvegia

93,4

Niger

29,3

Stati uniti

92,9

Burkina

30,3

Australia

92,9

Etiopia

30,9

Islanda

92,7

Burundi

32,1

Svezia

92,6

Guinea Bissau

33,1

Belgio

92,5

Mozambico

34,1

Paesi bassi

92,5

Ciad

36,7

Giappone

92,4

Centrafrica

37,1

Gran Bretagna

92,4

Mali

38,0

Fonte: Undp, 2000

 

L’alternativa tra globalizzazione e sviluppo deve cedere il passo a un vero sviluppo umano globalizzato. L’UNDP, una volta analizzati gli aspetti negativi della globalizzazione, indica tre piste di lavoro per far sì che essa si concili con le esigenze dello sviluppo umano. Per ciascun Paese si rendono necessari i seguenti provvedimenti:
catturare le opportunità offerte da commercio, flussi di capitale e migrazioni;
proteggere gli individui dalle vulnerabilità provocate dalla globalizzazione;
superare la restrizione delle risorse a disposizione dello Stato.

L’esclusione sociale è un risultato dello sviluppo a scarso contenuto umano. Perciò, non si può parlare di sviluppo umano senza valutare il grado di esclusione sociale che lo accompagna. I diritti civili, politici, culturali e sociali sono indispensabili per uno sviluppo umano sostenibile. I diritti umani e lo sviluppo umano non possono essere realizzati universalmente senza una maggiore iniziativa internazionale, specialmente a sostegno dei Paesi e degli individui svantaggiati e volta a superare le crescenti disuguaglianze globali e l’emarginazione. Tra coloro che intendono perseguire lo sviluppo umano, c’è chi guarda all’individuo come fine in sé e chi vi vede un metodo per aumentare il rendimento delle risorse umane, intese come capitale umano. Nascono quindi alcuni dilemmi: a es. nella liberazione della donna ci guadagnano tutti o sono in gioco interessi contrastanti?

I Rapporti sullo sviluppo umano, pubblicati dall'UNDP dal 1990 dunque classificano i paesi secondo il loro Indice di sviluppo umano, costruito sulla base di tre indicatori a livello nazionale: speranza di vita, grado di istruzione (istruzione degli adulti e iscrizioni alla scuola elementare-media-superiore), media del PIL pro capite (espresso in "dollari internazionali" vale a dire in termini di parità di potere d'acquisto con il dollaro = PPP$). Ad ognuno di questi tre fattori è dato peso uguale per il calcolo dell'indice ISU. Il valore dell'ISU, compreso tra 0 e 1, indica quanto ciascun paese si è avvicinato ai seguenti obiettivi:
85 anni di speranza di vita
Accesso all'istruzione per tutti
Livello decente di reddito

Il valore teorico massimo dell'indice (ISU = 1) significa che il paese ha conseguito tutti gli obiettivi. Le misure utilizzate per ciascuna variabile sono:
La longevità misurata attraverso la speranza di vita alla nascita.
Il livello di istruzione misurato da una media ponderata di alfabetizzazione degli adulti (due terzi) ed il tasso di iscrizione alle scuole elementari-medie-superiori (un terzo).
Il livello di vita misurato attraverso la parità di potere di acquisto espresso in dollari USA (PPP$).

L'approccio SU mette le persone al centro dello sviluppo e sorge sulla convinzione che la dimensione umana dello sviluppo sia stata trascurata nel passato a causa dell'enfasi eccessiva posta sulla crescita economica. Esempi di tale enfasi sono la misura del PNL pro capite, utilizzato come la misura principale per i livelli di sviluppo fra stati, e variabili quali il reddito o il consumo calcolati in termini monetari come misura del benessere o della povertà degli individui, delle famiglie e dei diversi gruppi sociali. In quest'ottica, l'obiettivo primario delle politiche di sostegno allo sviluppo era l'industrializzazione e il trickle down mechanism, ossia la "ricaduta della crescita economica", rappresentava lo strumento attraverso cui la povertà sarebbe stata progressivamente eliminata. Da questo concetto nacque negli anni '70 quello dei basic needs (elaborato dall'OIL), che riconosceva l'importanza di ricorrere ad elementi di valutazione dello sviluppo diversi dal semplice reddito pro capite. Quest'ultimo rimaneva un importante indicatore di sviluppo, ma solo in funzione dell'acquisizione e del consumo di un paniere di beni e di servizi essenziali al raggiungimento di una soglia accettabile di vita. In particolare, l'OIL sottolineava che il perseguimento di un accesso maggiormente esteso ai basic needs da parte dei gruppi più poveri della popolazione sarebbe stato agevolato dal conseguimento di uno status occupazionale adeguatamente remunerato. Ne emergeva l'importanza di aumentare la redditività del lavoro dei poveri, la necessità di operare cambiamenti nella composizione dell'output e nella proprietà dei fattori produttivi e, infine, di dare spazio a mutamenti radicali nella struttura organizzativa della produzione.

 

L'UNDP prese le distanze dall'approccio dei basic needs, respinto soprattutto dai paesi meno avanzati, formulando il concetto di sviluppo umano ed introducendo un nuovo indice di misurazione dello sviluppo dei paesi, l'ISU (Indice di Sviluppo Umano). "Lo sviluppo umano è il processo che permette alle persone di ampliare la propria gamma di scelte. Il reddito è una di queste scelte, ma non rappresenta la somma totale delle esperienze umane. La salute, l'istruzione, l'ambiente salubre, la libertà d'azione e di espressione sono fattori altrettanto importanti.". (Rapporto UNDP n°3). Lo sviluppo umano, quindi, rappresenta una nuova accezione dello sviluppo ed ha permesso di ridefinire e spostare le priorità di intervento dalla crescita del PIL al miglioramento sia della qualità della vita, sia delle condizioni di sostenibilità sociale ed ecologica. Lo sviluppo, cioè, non viene promosso da una ricerca a senso unico della sola crescita economica; la quantità della crescita è fondamentale, ma altrettanto importante è la sua distribuzione, vale a dire la partecipazione piena al processo di crescita. Lo sviluppo umano rappresenta, in questo modo, un obiettivo per la società, motivo per cui sorge il problema di come i processi di crescita economica - intesa come aumento del PIL pro capite - possano essere funzionali a tal fine e come lo stesso sviluppo umano possa tradursi anche in maggiore crescita economica. Lo sviluppo umano è diventato così in questi ultimi anni l'obiettivo di programmi, politiche e linee guida della cooperazione allo sviluppo.

Un esempio è la decisione, votata dalla Conferenza di Copenaghen delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sociale, di rivolgere almeno il 20% dell'aiuto allo sviluppo ad interventi di natura sociale. Altro esempio sono gli obiettivi che l'OCSE nel suo Shaping the 21st Century; the Contribution of Development Cooperation ha fissato per il prossimo futuro:

* garantire l'educazione di base per tutti gli abitanti di tutti i paesi entro il 2015;

* realizzare progressi inconfutabili verso l'uguaglianza tra i sessi e il rafforzamento dell'autonomia delle donne, sopprimendo ogni discriminazione di genere nell'istruzione elementare e secondaria, entro il 2005;

* ridurre di due terzi i tassi di mortalità infantile e dei bambini sotto i cinque anni, e di tre quarti la mortalità materna, entro il 2015;

* offrire la possibilità, a tutti gli individui in età di procreare, di accedere a un sistema di controllo della procreazione nell'ambito dell'assistenza sanitaria primaria, il più rapidamente possibile, entro e non oltre il 2015.