Le esperienze negative prodotte dalla visione degli stadi di sviluppo, e in particolare dall'imperativo della industrializzazione, hanno alimentato numerosi e importanti studi critici che nel corso degli ultimi vent'anni hanno contribuito ad introdurre approcci diversi al problema dello sviluppo. In primo luogo va ricordato il lavoro di un gruppo di studio del M.I.T. (Massachusetts Institute of Technology, Stati Uniti) che nel 1972 produsse un rapporto, tradotto in italiano col titolo I limiti dello sviluppo, che ebbe un'enorme risonanza nell'opinione pubblica internazionale. In Italia esso venne attivamente diffuso da un gruppo di studiosi raccolti nel Club di Roma. Questo rapporto può essere considerato il capostipite di una visione problematica dello sviluppo economico su scala mondiale, la quale mette in discussione la cosiddetta ideologia sviluppista, ossia che
* i paesi industrializzati potessero continuare a
crescere secondo i ritmi e i modi dei decenni precedenti,
* la soluzione dei problemi dei paesi poveri fosse seguire il modello della
industrializzazione.
La critica di questa ideologia da parte del gruppo di ricerca del M.I.T. era basata sull'esistenza di limiti invalicabili imposti alla crescita economica mondiale dalle risorse naturali disponibili sul pianeta, e più in generale dalla necessità di rispettare le leggi naturali di conservazione dell'ambiente. Da qui si è sviluppato un importante campo di ricerca scientifica ed economica e di indirizzo delle politiche per uno sviluppo sostenibile. Dall'idea dei limiti dello sviluppo e dai fallimenti della industrializzazione è sorto un secondo movimento di studi e di opinione guidato da economisti e sociologi come Ivan Illich (Austria, 1926-2003), Serge Latouche (Francia) Ernst F. Schumacher (Germania), Wolfgang Sachs (Germania), noti anche come antisviluppisti. Infatti, questo movimento ha assunto una posizione più radicale della precedente, fino a sostenere la necessità di abbandonare l'idea dello sviluppo e dell'aiuto allo sviluppo. In primo luogo, con il riconoscimento dell'esistenza di limiti naturali allo sviluppo globale, viene considerato errato cercare di aumentare il ritmo di crescita dei paesi poveri: è necessario, piuttosto, rallentare quello dei paesi ricchi. In secondo luogo, collegandosi alle versioni moderne delle teorie dello sfruttamento e ai critici della globalizzazione, la semplice esistenza di relazioni economiche, sociali e culturali coi paesi occidentali viene vista come portatrice di effetti negativi per paesi con caratteristiche ambientali, sociali e culturali profondamente diverse tra loro e rispetto ai paesi occidentali. Di conseguenza, si arriva a proporre che non ci si occupi più del cosiddetto problema del sottosviluppo, lasciando che ogni paese, comunità o villaggio trovi la propria via per raggiungere una desiderabile condizione di vita. "Quaranta anni di sviluppo ci hanno portato ad una situazione in cui i paesi che correvano in testa e quelli che correvano negli ultimi posti non si sono raggiunti [...] Le nostre società sono voraci, guardano alla natura da un lato come una miniera e dall'altro come a una discarica [...] Tutti dobbiamo prendere il passo più lento [...] La felicità si trova più nell'agire sui desideri che nell'agire sulle cose possedute, nel desiderare di meno piuttosto che nell'accumulare di più" (Wolfgang Sachs).