Il termine organizzazione non governativa (O.N.G) viene utilizzato per definire un insieme di organismi molto dissimili tra loro quanto a finalità, ideologie ispiratrici, ambiti di intervento, forme organizzative e dimensioni, che tuttavia sono accomunati da alcuni valori di solidarietà e giustizia relativamente unitari e da una metodologia di lavoro fondata su elementi comuni. Nell’ordinamento italiano, le ONG appartengono alla categoria giuridica delle associazioni senza scopo di lucro (non-profit) e dunque ne condividono la disciplina civilistica (codice civile, soprattutto Libro I, Titolo II, Capo II e III). Nella pratica, nella maggior parte dei casi si tratta di associazioni non riconosciute, sebbene alcune O.N.G abbiano la forma di associazioni riconosciute. Una definizione più circoscritta di O.N.G, che interessa particolarmente in questa sede, è quella che prevede che l’organizzazione sia caratterizzata, oltre che dai tre elementi sopra menzionati (natura privatistica, non-profit, solidarietà), anche dal fatto di operare nell’ambito della cooperazione internazionale allo sviluppo. Le O.N.G con questa finalità costituiscono infatti una tipologia di soggetti distinta e unitaria, sia per la dottrina che per il legislatore, che ne prevede una rudimentale disciplina speciale nella L. 49/1987 sulla cooperazione allo sviluppo e in altre fonti legislative. Ai sensi dell’art. 28 della citata legge sulla cooperazione, tali organizzazioni possono ottenere dal ministero degli Affari Esteri un riconoscimento di idoneità, fondamentale al fine di poter accedere ai contributi e ai progetti ministeriali. Per ottenere l’idoneità, l’ONG deve essere formalmente costituita, non avere finalità di lucro, né essere in qualche modo collegata a soggetti aventi tali finalità, avere quale scopo istituzionale lo svolgimento di attività di cooperazione allo sviluppo, fornire adeguate garanzie di competenza e capacità, accettare una serie di impegni di documentazione e periodici controlli ministeriali. Procedure per il riconoscimento delle O.N.G sono variamente previste in quasi tutti gli stati e anche presso alcune organizzazioni internazionali: di particolare importanza l’accreditamento delle O.N.G presso il Consiglio Economico e Sociale dell’O.N.U. (Organizzazione delle Nazioni Unite), nel quale sono rappresentate come osservatrici, e talvolta con qualche funzione consultiva, diverse migliaia tra le maggiori O.N.G internazionali.
Le ONG di cooperazione internazionale hanno una
lunga tradizione in tutti i paesi occidentali, ma hanno avuto uno sviluppo
particolarmente intenso e significativo dopo la II guerra mondiale. Oggi
rappresentano un vasto movimento civile mondiale, che mobilita decine di
migliaia di volontari, con legami ideali e organizzativi abbastanza ben
definiti, pur nella varietà delle forme specifiche in ciascun paese e cultura.
In Italia, il periodo di maggior crescita delle ONG di cooperazione
internazionale si colloca dopo il 1970. Il movimento delle ONG di cooperazione
internazionale, preso nel suo complesso, oggi costituisce uno degli attori
principali nel campo degli aiuti internazionali, dello studio e dell'attuazione
di politiche per lo sviluppo. Idealmente esso intende porsi come interlocutore,
critico e indipendente, rispetto ai governi nazionali e alle organizzazioni
economiche internazionali. Questa attitudine è talvolta messa in discussione a
causa della necessità di mantenere relazioni operative e, soprattutto,
finanziarie con le organizzazioni governative. Tradizionalmente le ONG hanno
elaborato e cercato di attuare visioni della cooperazione internazionale
alternative a quelle governative e delle grandi organizzazioni internazionali.
Si può osservare che la distanza tra i due sistemi di organizzazioni si è andata
riducendo a partire dagli anni '80, cioè dopo che è stata ridimensionata la
fiducia negli interventi di grande scala finalizzati all’industrializzazione,
con elevati trasferimenti di capitali finanziari, concentrati sugli indicatori
materiali di benessere. Le linee guida tipiche delle ONG sono:
interventi di piccola scala altamente controllabili nella fase di realizzazione
e di valutazione dell'impatto locale;
rispetto assoluto dei criteri di giustizia sociale, equità e rispetto dei
diritti umani;
partecipazione delle popolazioni locali ai progetti, e in particolare
trasferibilità delle tecnologie (vedi tecnologia e innovazione tecnologica),
capacità di autosostentamento (self-reliance), arricchimento del capitale umano;
rafforzamento dei gruppi sociali particolarmente svantaggiati o discriminati;
Inoltre le ONG condividono anche alcune linee guida comuni per quanto riguarda i rapporti con i paesi di provenienza come il coinvolgimento della società civile nella cooperazione allo sviluppo, in particolare attraverso le attività di "educazione allo sviluppo" e lo sviluppo delle doti professionali dei volontari. I principi generali che caratterizzano le ONG sono ora raccolti in una Carta delle ONG di sviluppo, elaborata congiuntamente dai rappresentanti delle organizzazioni europee e discussa con la Commissione dell'Unione Europea.
La Convenzione di Strasburgo (1986) ha conferito
personalità giuridica alle ONG e precise direttive:
l’attività delle ONG deve svolgersi in almeno due Stati;
le ONG non sono soggetti di diritto internazionale. Tuttavia, specie nel caso
delle ONG che si prefiggono scopi umanitari e filantropici, esse assumono un
ruolo sempre più importante nel contesto internazionale e vengono spesso
coinvolte in attività delle Organizzazioni Internzazionali. Ciò accade
soprattutto nell’ambito della cooperazione con Paesi meno avvantaggiati e con un
ruolo complementare in interventi di emergenza.
Indubbiamente molte delle denunce avanzate da ONG intorno a situazioni di disagio sociale, politico (gravi violazioni di diritti umani) ed economico, non trovano ancora adeguata corrispondenza nelle politiche dei singoli Stati e delle Organizzazioni Internazionali. D’altro canto le ONG sono avvantaggiate proprio dall’ambiguità che deriva dalla propria flessibilità amministrativa e dalla generale mancanza di gangli di potere dalla forte strutturazione che, se, da un lato, impediscono una cooperazione coordinata e strutturata con le Organizzazioni Internzazionali, dall’altro, permettono il loro inserimento in aree interessate da emergenze politiche complesse (CPE) o al centro di conflitti a bassa intensità (LIC). Questa flessibilità rende le ONG i principali referenti per organizzazioni dagli apparati più pesanti. La legittimità allo “statuto consultivo” delle ONG, dotate di solida reputazione internazionale e buon grado di rappresentatività collettiva nel settore di specializzazione, ha avuto il massimo riconoscimento nell’Art. 71 della Carta delle Nazioni Unite. Esso prevede un rapporto di consulenza con il Consiglio economico e sociale dell’ONU e dalla risoluzione 1296(XLIV) del 1968 che lo regola. Parimenti, si sta consolidando il rapporto fra Comunità europea e ONG (giusto art. 229 del Trattato della CE), al punto che buona parte dei finanziamenti sono messi a disposizione di tali organizzazioni e che addirittura la gestione di determinate iniziative o interventi venga affidata loro, quale riconoscimento della loro compenetrazione nel tessuto sociale europeo, oltre che dell’utilità dei loro scopi, siano essi umanitari, culturali, sportivi etc. Se, da un lato, il rafforzamento dei rapporti con le maggiori Organizzazioni Internzazionali ha beneficato tali organizzazioni, favorendo la notevole crescita di alcune ONG, dall’altro, la competizione per assicurarsi l’ambìto ‘prestigio’ e ‘credito’ internazionale, ha anche comportato una trasformazione strutturale delle ONG stesse. Per motivi organizzativi e di efficienza amministrativa, in esse si riproducono quelle strutture piramidali, spesso intrappolate dalla burocrazia (indispensabile per garantire la sopravvivenza degli apparati), che hanno appesantito le Organizzazioni Internzazionali. Tutto ciò sembra agire a scapito dei valori fondanti, ed è per tale motivo, che, a fianco delle ONG maggiori, si assiste ad una proliferazione di ONG più piccole, che si prefiggono scopi circoscritti, nell’intento di preservare quei valori che hanno informato la loro iniziativa all’origine. Volgendo lo sguardo sulle ONG con scopi umanitari, è notevole come queste, ispirandosi al principio “piccolo è bello” e animate dall’esaltazione della microesperienza come valida alternativa all’iper-controllo degli apparati istituzionali, si propongano come vere e proprie “anti-istituzioni", che ambiscono fondare la propria attività su una sorta di personalizzazione del rapporto con l’utenza. D’altro canto, proprio le numerose esperienze nella cooperazione internazionale allo sviluppo hanno dimostrato come, a fianco di esperienze di successo, ci possano essere fallimenti sia nelle iniziative di vasto respiro – vuoi per la scorretta impostazione o per il mancato inserimento nell’ambito sociale e territoriale -, sia nelle esperienze ‘piccole’. L’ambito ristretto, non bisogna dimenticarlo, non sfugge all’obbedienza alle dinamiche dei rapporti fra aggregati sociali e, a prescindere dalla grandezza, finisce per riprodurre le dinamiche istituzionali delle maggiori organizzazioni. Tanto le ONG grandi e sviluppate, quanto le piccole condividono alcuni rischi che ne possono seriamente compromettere l’operatività:
rischi nella gestione dei rapporti con il territorio, in cui l'inserimento e la socialità spesso cozzano con le dinamiche locali di gestione del potere. Come accade talvolta, queste problematiche non sono sempre chiare a chi conduce i progetti per un periodo di tempo circoscritto ed ha conoscenze limitate della realtà storica, sociale e politica del territorio in cui opera. Ciò, nel migliore dei casi, si traduce nell’incapacità di recepire la produzione normativa e dei comportamenti, e poi di adattarvisi. Nel caso peggiore, produce un coinvolgimento indesiderato in dinamiche di potere sottovalutate, le cui conseguenze finiscono per risultare ingestibili. Ciò avviene, soprattutto, nel rinnegare il ruolo politico che giocoforza le iniziative di cooperazione stesse vengono ad assumere. A tal proposito, si rileva che l’impatto di piccole ONG che spesso non hanno modo di radicarsi sul territorio per un periodo sufficiente, non tengono conto del fatto che un progetto puntuale e non integrato difficilmente può far leva tanto sul meccanismo della riproduzione delle istituzioni nei comportamenti degli operatori, che sui valori della società di accoglienza e nelle pratiche delle strutture locali che garantiscono un’integrazione di duraturo successo del progetto intrapreso.
il rischio della sfiducia e della demotivazione tra i cooperanti, allorché la committenza istituzionale non sia in grado di assicurare il rinnovo di determinate convenzioni (o contratti o fondi). Ciò costituisce una vera e propria spada di Damocle che pende su ogni impegno di rilevo,
un rischio di non minore gravità è quello del ripiegamento “intimistico” di una determinata equipe di cooperanti nei confronti della comunità in cui si opera, che può tradursi in rapporti quasi paternalistici da parte dei primi;
infine costantemente in agguato è il pericolo della atomizzazione delle esperienze, che si può verificare per almeno due ragioni: quando manca un reale scambio di informazioni tra le diverse ONG, che anzi sono spesso in competizione tra loro per l’ottenimento degli indispensabili fondi; soprattutto, quando manca una verifica progettuale integrata ad altre già presenti sul territorio. Ciò, per una ONG, significa dimenticare quel principio unificatore di ogni esperienza di cooperazione, ossia l’essere una delle espressioni della società civile e dell’azione umanitaria (vedi diritti umani), ma significa anche lasciare sprecato tutto l’arricchimento e la garanzia di successo che derivano da un confronto attivo, sin dalla fase progettuale, con le realtà di cooperazione precedenti.