La nascita del concetto di sviluppo (e conseguentemente della nozione di sottosviluppo e della logica della cooperazione internazionale) si colloca al 20 gennaio 1949. Quel giorno il presidente americano Truman tenne al Congresso un discorso fondamentale che, secondo molti studiosi, segnò l'inizio dell'era della cooperazione allo sviluppo. La seconda guerra mondiale si era da poco conclusa ed il presidente americano disegnò con lucidità l'orizzonte della nuova frontiera dell'Occidente e degli USA in particolare. Dopo aver definito "sottosviluppati" un numero enorme di paesi, Truman affidò agli Stati "sviluppati" il compito di "operare per lo sviluppo" definendone chiaramente gli strumenti: "Una maggiore produzione è la chiave del benessere e della pace. […]Le nazioni si dividono in fuoriclasse e ritardatarie: sono gli Stati Uniti ad emergere sulle altre nazioni per tecnica industriale e ricerca scientifica". E Truman, mascherando l'interesse con la magnanimità, non esitò ad annunciare un programma di aiuto tecnico che avrebbe dovuto "eliminare le sofferenze di questi popoli con attività industriali ed un più alto standard di vita". Da allora il mondo è sensibilmente cambiato, ma lo scenario dei paesi in via di sviluppo è rimasto immutato.
Dei 23 mila miliardi di dollari del prodotto interno lordo (PIL) globale attuale, 18 attengono ai paesi industrializzati e solo 5 ai paesi in via di sviluppo, pur rappresentando questi ultimi circa l'80% della popolazione mondiale. Il 20% più povero della popolazione mondiale ha visto la propria quota di reddito globale declinare dal 2,3% all'1,4% negli ultimi trent'anni. Per contro, la quota del 20% più ricco è salita dal 70% all'85%. Tradotti in termini di vita quotidiana, questi numeri significano, tra l'altro, che nei PVS un miliardo di persone non ha ancora accesso alla sanità ed educazione di base, all'acqua potabile e ad un'adeguata alimentazione. Stime condotte dalla Banca Mondiale indicano che 1,2 miliardi di persone vivevano nel 1987 al di sotto di una linea di povertà equivalente a un dollaro al giorno; nel 1993, questo numero era salito a 1,3 miliardi.
La crisi finanziaria che ha colpito il Sud-Est asiatico a partire dal luglio del 1997 e che si è poi estesa alla Russia e all'America Latina ha avuto profonde ripercussioni sui tassi di crescita dei paesi in via di sviluppo e sulla povertà. Nel Sud-Est asiatico, sono disponibili dati recenti per l'Indonesia, la Thailandia e le zone urbane della Corea del Sud. In tutti i tre paesi, il livello medio dei consumi è calato sostanzialmente (tra il 14 e il 24%), e la povertà è aumentata. In Indonesia, per esempio, l'aumento della percentuale di persone al di sotto della linea nazionale di povertà è stato di circa dieci punti, corrispondenti a 20 milioni di persone povere in più. A questo calo del livello dei consumi si accompagna un peggioramento degli indicatori di salute ed educazione, con preoccupanti effetti a lungo termine. Per esempio, un calo nel numero di bambini e ragazzi che frequentano le scuole porta ad una riduzione delle possibilità future di impiego. L'impossibilità di procurarsi medicinali e vaccinare i bambini aumenta la vulnerabilità delle famiglie più povere alle malattie; un aumento della malnutrizione si traduce in una riduzione nelle capacità di apprendimento.
In Asia, solo in Cina si è registrato un progresso notevole nella riduzione del numero dei poveri, che è passato da 200 milioni nel 1995 a 125 milioni nel 1997 nelle zone rurali. In India, altro paese con una grande concentrazione di persone con livelli di vita al di sotto di un dollaro al giorno, non c'è stato progresso negli ultimi anni.
La situazione in Africa rimane molto seria. La maggior parte dei paesi africani non è stata contagiata dalle crisi finanziarie degli ultimi anni, per via della minore integrazione del continente nei mercati finanziari globali. Tuttavia, la crisi economica globale e il calo dei prezzi delle materie prime e di molti prodotti agricoli hanno avuto un effetto deleterio sulle economie africane, effetto al quale si è sommato l'impatto dei conflitti che lacerano il continente. Il tasso di crescita del prodotto interno lordo per la regione è stato nel 1998 al di sotto del tasso di crescita della popolazione, il che implica un calo dei redditi pro capite.
In America Latina la manifestazione più drammatica della povertà è l'esistenza di grandi disuguaglianze tra ricchi e poveri. In Guatemala, per esempio, il 20% più povero della popolazione detiene il 2,1% del reddito nazionale, mentre il 20% più ricco il 63% del reddito nazionale.
Un'altra regione del mondo dove le condizioni di vita sono peggiorate negli ultimi anni è l'ex-Unione Sovietica, dove quasi 150 milioni di persone vivono in condizioni di estrema povertà.
Nonostante le numerose statistiche calcolate ogni anno sulla povertà di alcuni stati del globo non esiste, comunque, una definizione univoca di PVS. Per alcuni stati, tra cui l'Italia, e per alcune organizzazioni internazionali i PVS sono quelli elencati dalla lista formulata dal DAC (Development Assistance Committee), Commissione dell' OCSE rivolta allo studio delle tematiche e problematiche relative allo sviluppo. Altre organizzazioni hanno la loro definizione: la Banca Mondiale, ad esempio, utilizza questo termine per riferirsi agli stati a basso e medio reddito pro capite, includendo in questo modo anche i paesi dell'Europa orientale che nella lista DAC sono contenuti nella seconda sezione. La lista dell'OSCE è compilata a fini statistici e serve a misurare e classificare gli aiuti provenienti dai paesi DAC: solo gli aiuti ai paesi della prima sezione della tabella, infatti, sono considerati "APS" (aiuti pubblici allo sviluppo, ODA in inglese).