Per potere si intende la possibilità di dirigere persone, contare su risorse umane e materiali, disporre di un apparato di coercizione e di una burocrazia. Il potere si basa sulla collaborazione di un vasto numero di gruppi, istituzioni, persone etc. Esso dipende dalle sanzioni come strumento per imporre o ripristinare l'obbedienza e dissuadere dalla disobbedienza nei confronti dei governanti. La continuazione del sistema di dominio dipende dall’obbedienza e dalla cooperazione della popolazione. Il sistema di dominio sfrutta varie risorse di potere:
Risorse umane: gente che sostiene il
dominio o provvede servizi per esso;
Abilità e saperi: le speciali informazioni riservate ad uno stretto
numero di persone;
Risorse materiali: naturali, finanziarie, etc.;
Fattori psicologici e culturali: teorie gerarchiche che permettono di
accettare e perpetuare la violenza, di difendere coloro che la praticano;
Sanzioni: legge, polizia, prigioni, esercito, vigilantes, etc.
Per qualcuno il potere causa la distribuzione degli altri valori sociali e fornisce quindi l’aspetto unificante per identificare la strutturazione delle disuguaglianze sociali. Per molti i poveri sono poveri perché mancano di certe cose. Ma perché mancano di ciò? Ciò di cui mancano in realtà è il potere, il potere di procurarsi ciò di cui hanno bisogno. I rapporti che intercorrono tra le classi sociali sono essenzialmente quindi rapporti di potere, ma risulta arduo identificare classi a seconda del grado in cui in una società esso è distribuito. I ricchi, anziché usare la forza, sanno servirsi della politica per conquistare il potere. Viceversa risposte militari alle rivendicazioni popolari sono dannose per la crescita economica perché spingono le classi dirigenti a consolidare ulteriormente il loro potere e il controllo sulle risorse a spese del resto della popolazione. In alcune aree, come in Asia, chi ha in mano il potere politico possiede anche le banche, le grandi società immobiliari e le miniere.
Esistono 4 tipi di potere. Il potere su qualcun
altro (dominazione, controllo); il potere con (o potere tramite, quello che
appartiene ai cosiddetti “esperti” e che si esprime in termini di influenza e
status); il potere da dentro (creatività, autostima); il potere insieme (quello
che stiamo esercitando in questo momento). L’azione nonviolenta, e’
letteralmente: fare cio’ che e’ giusto con le tue stesse mani, senza affidarsi
alle strutture gerarchiche, senza bisogno che da un’autorità “più alta” chiami
ad agire o ordini di farlo. L’azione nonviolenta è prendere su di sé
responsabilità personale per realizzare il cambiamento. Le fonti del potere,
cioè quegli elementi che danno riconoscimento e alimento al potere sono:
* l'autorità
* le risorse umane
* fattori indefinibili come le ideologie, le tradizioni culturali/religiose etc.
* le risorse materiali
* le sanzioni
* La sanzione è importante perchè fa scattare l'elemento psicologico della paura
e la paura può bloccare ogni tipo di volontà e di azione.
Il potere per esistere, oltre alle fonti, deve appoggiarsi sull'obbedienza. Fattori dell'obbedienza sono:
* le informazioni
* la paura delle sanzioni e delle ritorsioni
* l'obbligo morale che ognuno di noi sente verso una legge, una norma o
un'autorità riconosciuta
* l'interesse personale di chi obbedisce
* l'identificazione psicologica col governante
* l'esistenza di zone di indifferenza per cui determinate situazioni ci lasciano
"neutrali" perchè, apparentemente, non ci riguardano o coinvolgono
* la mancanza di fiducia in se stessi e di una forte volontà
* la tendenza ad evitare qualsiasi responsabilità
* l'abitudine, che consolida tutti gli altri punti summenzionati.
L'obbedienza è sicuramente un elemento determinante se legato all'autorità. L'obbedienza all'autorità possa essere all'origine della distruttività umana. Lo psicologo Stanley Milgram dimostrò questa tesi attraverso una serie di rigorosi esperimenti di laboratorio e che seguivano tutti questa metodologia. Due individui sono invitati nel laboratorio di sociologia, che organizza una ricerca sulla memoria e l'apprendimento. Uno di loro sarà l'insegnante e l'altro l'allievo. Lo sperimentatore (in camice bianco) spiega loro che si tratta di studiare gli effetti della punizione sui processi di apprendimento. L'allievo viene condotto in una stanza dove vi è una sedia su cui viene fatto sedere. La sedia è munita di cinghie per immobilizzargli le braccia, come una sedia elettrica; l'effetto evocativo è rafforzato da un elettrodo che viene fissato al polso del soggetto. Quindi gli si consegna un elenco di coppie di parole che deve ripetere a memoria: ogni volta che, ripetendole, commetterà un errore, sarà punito con una scarica elettrica di intensità crescente. In realtà, il vero soggetto di studio dell'esperimento è l'insegnante. Dopo averlo fatto assistere alla sistemazione dell'allievo, lo si conduce nella sala principale del laboratorio, dove viene sistemato di fronte a un impressionante stimolatore di shock. La macchina presenta una fila di 30 leve, corrispondenti a scariche da 15 a 450 volts, ciascuna con un'indicazione che va da shock lieve a attenzione: shock pericoloso. L'insegnante è invitato a cominciare a sottoporre l'allievo, che è nell'altra stanza, al test di apprendimento. Se risponderà esattamente, l'insegnante passerà alla coppia di parole successiva, in caso contrario, dovrà somministrargli una scossa elettrica, cominciando dal voltaggio più debole e intensificandola progressivamente di un livello (15, 30, 45 ecc.) ad ogni errore. L'insegnante è un soggetto assolutamente in "buona fede", venuto in laboratorio per partecipare all'esperimento. Invece l'allievo (o vittima) è un attore, che in realtà non riceve nessuna scarica elettrica. Lo scopo dell'esperimento è quello di scoprire fino a che punto un individuo possa spingere la docilità, quando le ingiunzioni dello sperimentatore gli chiedono di infliggere alla vittima punizioni sempre più severe. Fino a che punto si spingerà l'obbedienza del soggetto agli ordini impartitigli? Il conflitto nasce quando l'allievo comincia a dare segni di sofferenza. A 75 volts geme. A 120 protesta con parole chiare. A 150 supplica di essere liberato. Col crescere dell'intensità delle scariche, le proteste si fanno più veementi e patetiche. A 245 volts l'unica reazione è un vero grido di agonia. Tutti i testimoni sono d'accordo sull'impossibilità di rendere con le parole il carattere sconvolgente della situazione. Per il soggetto l'esperimento non è un gioco, ma un conflitto intenso e estremamente reale. Da un lato, l'evidente sofferenza dell'allievo lo spinge a smettere; dall'altro lo sperimentatore, autorità legittima nei cui confronti si sente impegnato, gli ingiunge di continuare. Per risolvere questo insostenibile dilemma deve ribellarsi all'autorità. MA NON LO FA. Lo dimostrano i risultati: nessuno rifiuta di partecipare all'esperimento, nessuno si ferma prima dei 300 volts, il 60% va avanti fino alla fine. Gli stessi esperimenti ripresi in altre parti del mondo, anche con persone di un alto livello di cultura ed istruzione hanno dato percentuali di obbedienti molto elevate (85%).
L'insieme di questi esperimenti dimostra la propensione dell'adulto a sottomettersi, quasi incondizionatamente, agli ordini dell'autorità. Ci suggerisce inoltre un'altra considerazione: l'uomo non sa di che cosa può essere capace. Quando Milgram domanda agli studenti il numero di soggetti che si fermerà prima della conclusione questi gli rispondono :"L'85%". L'uomo ha un'idea sbagliata della normalità il che vizia i nostri fermi giudizi sulla violenza altrui e su quella, potenzialmente, nostra. Nutriamo un'idea sbagliata sulle cause della violenza. Sarebbe inutile cercare prove di sadismo nei soggetti di Milgram. In questo caso la violenza nasce da un rapporto costrittivo che "imprigiona" l'individuo normale e lo trascina, a dispetto della sua coscienza morale, verso forme di violenza a lui stesso inimmaginabili. Scrive Milgram: "Coloro che hanno somministrato gli elettroshocks, non l'hanno fatto per soddisfare tendenze particolarmente aggressive, ma costretti moralmente dagli obblighi che pensavano di avere, in quanto soggetti dell'esperimento. Ed è questo forse l'insegnamento fondamentale di tutto lo studio: persone assolutamente normali, affatto prive di ostilità, possono diventare gli agenti di un atroce processo distruttivo, attenendosi semplicemente ai compiti che sono stati loro affidati (3)". E' tuttavia chiaro che i soggetti in questione non sarebbero arrivati, di propria iniziativa, a livelli così forti di violenza inflitta ad altri. L'esperimento prevedeva che, ogni volta che avessero esitato a somministrare la scarica, lo sperimentatore ricordasse loro seccamente l'impegno assunto. Alla fine veniva impartito un drastico ordine: "L'esperimento esige che lei continui". Sul soggetto veniva esercitata una vera e propria pressione, che non avrebbe avuto alcun effetto se l'ordine di "torturare" fosse venuto da un individuo normale, invece che da uno scienziato (l'autorità in quel momento). La pressione provoca nel soggetto un profondo conflitto verificabile dall'accelerazione del battito cardiaco, da un'abbondante sudorazione, ecc. Poi, a poco a poco, la tensione effettiva si risolve, con la diminuzione dell'attenzione volta alla vittima e l'aumento dell'attenzione per lo sperimentatore ed i suoi apparecchi. Sono frequenti osservazioni del tipo: "Bene, se lei si assume tutta la responsabilità....." che comprovano una lenta, ma costante, presa di distanza dalla vittima per identificarsi con il "capo" dell'esperimento e la volontà di sentirsi IRRESPONSABILE delle proprie azioni e di quello che si sta facendo, scaricando sull'autorità il peso di queste responsabilità.
La teoria che sta alla base di un approccio che analizza gli effetti dell'obbedienza ritiene che i governi dipendono molto dalla disponibilità della gente ad obbedire e che, con azioni nonviolente ben organizzate e con precisi obiettivi, si può influenzare pesantemente ogni tipo di potere costituito e, in casi estremi, ridurlo all'impotenza.